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fino al 22.I.2005 | Autobiografia di una galleria | Milano, Fondazione Marconi

di - 17 Novembre 2004

Se la Milano dell’arte dovesse raccontarsi, non potrebbe in alcun modo esimersi dal far parlare Giorgio Marconi. Un signore distinto e loquace che ha fatto la storia dell’arte nel capoluogo lombardo e non solo. Anzi. Che ha marchiato a fuoco un ambiente che ora pare non piacergli più come un tempo. Certo non a causa degli artisti, ma di quello che in maniera semplicistica si potrebbe definire il sistema. Non esclusivamente quello dell’arte, ma in generale l’assetto contemporaneo della società nella sua dimensione globale.
“Mi voglio occupare degli artisti di cui ho una vasta conoscenza”. Con quest’affermazione, che dovrebbe essere banale ma oggi purtroppo non lo è affatto, Giorgio Marconi ha deciso di imprimere una svolta alla propria attività. Che era cominciata l’11 novembre 1965, quando un appartamento al secondo piano di una casa di ringhiera, nel cortile interno, nacque lo Studio Marconi. “Non potevamo chiamarlo galleria”, racconta sorridendo, “se ne discuteva con Tadini e qualche altro e non era proprio il termine adatto!” Quello spazio al 15 di via Tadino a Milano ora non ha cambiato sede, ma nel corso degli anni si è ampliato fino a diventare “quasi una kunsthalle, un museino” di 1000 mq. Dove lo Studio è diventato all’inizio degli anni ’90 una galleria codiretta insieme al figlio e infine, spartendosi d’ora innanzi i ruoli, alla galleria sarà affiancata la Fondazione Giorgio Marconi.
E allora va da sé che si debba cominciare con uno sguardo alla strada percorsa. Per ciò Giorgio Marconi ha allestito una rassegna che racconta 28 anni di attività dove è importante “guardare e non solo vedere”. Pare talora amareggiato il patron della Fondazione, per la perdita di civismo e di legami causati dalle odierne tecnologie, ma non è un atteggiamento nostalgico: con la vivacità che da sempre lo contraddistingue, rivendica il lavoro compiuto e intende con forza ribardirne l’importanza, “per evitare che alcuni artisti vengano cancellati”. Così -e potrebbe sembrare una bestemmia- non è forse tanto importante la mostra negli spazi della galleria, quanto i pezzi che sono esposti nell’ufficio della Fondazione, in quello spazio originario dell’ex Studio. Pochi e sceltissimi, con un valore storico e documentario senza prezzo. E le moltissime testimonianze editoriali che hanno scandito la sua attività, dagli inviti ai cataloghi, dalle riviste alle fotografie. Solo dopo aver osservato quelle pietre miliari della sua storia si potrà scendere negli altri piani e comprendere a fondo cosa significano i lavori esposti, di una qualità sbalorditiva. Pare di essere immersi nell’affermazione provocatoria e nietzscheana di Man Ray, che affermava “Je n’ai jamais peint un tableau récent”, racconta divertito Giorgio Marconi. Le sue parole sono una guida indispensabile e si potrà leggere la bella intervista di Natalia Aspesi pubblicata sul catalogo Skira. Per scoprire appunto cataloghi e inviti, dai quattro puzzle di Adami, Del Pezzo, Schifano e Tadini inviati per la prima mostra allo Studio, al “peso” di cartone inserito in un cuscino gonfiabile in plastica per la personale di Télémaque nel 1967 o al badge per la mostra di Baj nello stesso anno.
Di mostre appunto si parla, ognuna esemplificata da un pezzo esposto in questa rassegna, per esempio con la prima personale di Mondino nel 1966 e nello stesso anno quella di Schifano col celebre Futurismo rivisitato, da Harold P. Paris nel 1969 a Pardi nel 1972 e Beuys nel 1973. E ancora Dario Fo (1981) e Vedova (1983), Sonia Delaunay (1984) e Franz Kline (1987) fino a giungere a Kippenberger (1990). Un’attività instancabile che si raddoppia e sostanzia nelle pubblicazioni, per esempio il volume speciale di Studio Marconi edito per i suoi dieci anni e contenente saggi di personaggi chiamati a esprimersi ognuno a partire dalla propria “discilpina”: da Rovatti a Mario Lodi, da Argan a Franco Quadri, da Eco a Gianni Brera. Ma in questo senso non vanno neppure dimenticati gli importanti Quaderni monografici pubblicati dallo Studio, autentici scorci propositivi su singoli aspetti della modernità.
E ora? Il futuro della Fondazione sarà concentrato su sette artisti defunti, ci racconta Giorgio Marconi: Man Ray (“un curiosone”), Sonia Delaunay (“l’arte astratta moderna è tutta nata da un patchwork”, dichiara Marconi mostrando su un catalogo una coperta datata 1911 dell’artista russa), Lucio Fontana (“perché era un sognatore”), Enrico Baj (col quale strinse un sadalizio durato 35 anni), Emilio Tadini, Mario Schifano e Gianni Colombo. Un percorso che produrrà mostre all’interno della galleria ma pure in istituzioni pubbliche, a partire da Mario Schifano. Dal monocromo al paesaggio. Corredate da cataloghi Skira che non dovranno finire “sui banchi dei remainders il giorno dopo l’inaugurazione”.
Insomma, si tenta di fare storia. Ben venga.

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marco enrico giacomelli
mostra visitata l’11 novembre 2004


fino al 22.I.2005 (chiusura dal 24.XII al 7.I)
Autobiografia di una galleria. Lo Studio Marconi 1965/1992
A cura di Giorgio Marconi
Fondazione Marconi
Via Tadino, 15 – 20124 Milano
Orario: da martedì a sabato dalle 11 alle 19
Ingresso libero
Info: tel. 02-29419232; fax 02-29417278; info@fondazionemarconi.org; www.fondazionemarconi.org
Catalogo Skira, € 35 in mostra, € 50 in libreria
Testi tratti dai cataloghi e dalle riviste dello Studio Marconi, intervista a Giorgio Marconi di Natalia Aspesi


[exibart]

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  • peccato che gio' abbia ereditato solo il nome e i muri e non il talento paterno...

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