La sacralità, innanzitutto. L’incontro dello spettatore con l’opera di Irina Zatulovskaya (Mosca, 1954) richiede silenzio. Ed una buona predisposizione all’osservazione. Alla contemplazione. A camminare in galleria in punta di piedi. Tra Uomini e Bestie, ornamenti fitomorfici, decorazioni preziose, frullii di ali di farfalla. Senza essere didascalico, il lavoro della Zatulovskaya è un’enciclopedia di citazioni. Che mutua innanzitutto dal maestro Kasimir Malevic il discorso sulla catarsi e sull’ascesa verso alte sfere celesti attraverso l’arte. Della lezione suprematista, tuttavia, tralascia la negazione della rappresentazione, strumento impuro della trama pittorico–scultorea e si dà alla formulazione di un bestiario che ricorda la glittica gotica e che distilla la propria freschezza, la trattazione del colore, la tavolozza di terre e celesti, l’incontro con la foglia d’oro, l’inserimento di greche e arzigogolii astratti e l’impianto compositivo, dalla tradizione illustre dell’icona russa.
Muta il supporto, nel XIV sec. costituito dalla classica tavola lignea, per Irina sostituito da tutto ciò che la quotidianità le offre, con una predilezione significativa per le lamiere, molto meglio se dai contorni frastagliati e arrugginiti. Cambia anche la percezione del soggetto, che rinuncia ben volentieri al trono della ieraticità e alla definizione delle forme, in virtù di una pittura scabra, veloce, talvolta un po’ infantile che fa pensare più a Marc Chagall che ai maestri bizantini.
Anche il suo pantheon è ben differente. Non popolato dalle figure fondamentali della religione ortodossa, bensì dai personaggi della letteratura e dell’arte venerati dall’artista: da Leonardo Da Vinci a Nikolaj Gogol.
La ricerca di Irina Zatulovskaya offre lo spunto per svariate riflessioni. Che si concentrano innanzitutto sulla semplicità con cui domina e riassume in immagini emblematiche il peso della tradizione, dalla quale non si lascia imbrigliare, ma guidare nello sviluppo di un senso pittorico contemporaneo. Scaccia inoltre dalla mente quell’ansia di “carne fresca”, tutta italiana. L’originalità e l’immediatezza dell’apparato artistico, infatti, non fa rimpiangere i ben portati 54 anni d’età della moscovita. Infine, tornando a bomba, sono da incoraggiare un analogo utilizzo della citazione, di cui abusano i nostrani, che qui non è mai fine a se stessa, e lo stoico rigore delle scelte stilistiche, che non cedono alle lusinghe dell’atto installativo per raccogliersi coerentemente, sulle specificità del mezzo prescelto.
Una nota di merito va infine alla galleria, che nel suo breve periodo di attività ha dato prova di una certa classe nella selezione della scuderia, lasciando ad altri il folclore e l’attitudine al souvenir, la ricerca sfrenata per prodotti etnici dagli ingredienti occidentalizzati, portando a Milano un carrozzone di nuovi, interessanti input per i nostri artisti, ormai così vecchi e stanchi.
santa nastro
mostra visitata il 4 febbraio 2007
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