L’immagine di un totem, in verità un congegno meccanico, fa da preludio alla galleria di fotografie che si dispiegano nella sala lunga e stretta dello Studio Guenzani. Una selezione di opere dall’impronta concettuale, stampate in dimensioni importanti e realizzate per mezzo di un obiettivo a grande formato e prolungate esposizioni che hanno valso a Hiroshi Sugimoto (Tokyo, 1948), celebre artista giapponese residente negli Stati Uniti dal 1974, il riconoscimento di fotografo dal magistrale tecnicismo.
Mentre Villa Manin accoglie una retrospettiva sul suo lavoro, a Milano, la raccolta dal titolo Conceptual Forms ci consente di assaggiarne lo stile dall’algida eleganza compositiva e la ricca palette di bianchi, neri e grigi di cui dispone. I soggetti ritratti sono privi di un valore artistico intrinseco, si tratta di arnesi semmai di interesse scientifico, ossia di solidi in gesso sviluppati sulla base di funzioni matematiche e congegni meccanici ottocenteschi utilizzati per illustrare il funzionamento dei macchinari. Sugimoto isola le figure al centro della rappresentazione, gli fa il vuoto attorno cosicché sembrino emergere dal nulla per stagliarsi su impenetrabili sfondi catrame. Oggetti in realtà di poche decine di centimetri che pure appaiono monumentali anche grazie a un medesimo punto di vista, posto in basso, riproposto con una ritualità quasi ossessiva. Mentre l’uso drammatico della luce disegna i volumi e provoca reminescenze di scultura classica o di architetture iconiche come quella
La ricerca di Hiroshi Sugimoto è così sofisticata, astratta e densa di meditazione che sembra difficile dargli una collocazione temporale e spaziale. È il frutto di una mente che dialoga con l’oggetto meccanico rappresentato dalla macchina fotografica e che mette alla prova la concezione del tempo con cui la fotografia, per sua natura, si rapporta. E il risultato è, anche da un punto di vista formale, estremamente raffinato. Altra cosa sono l’impatto e il coinvolgimento che queste opere ammettono, come nel caso di certi brani musicali di non facile ascolto, probabilmente fin troppo asciutte per potersene innamorare a prima vista.
Uscendo dalla mostra vale la pena di buttare l’occhio nello studiolo adiacente all’ingresso, dove il mare dei Buddha, l’opera The Hall of ThirtyThree Bays, campeggia nella sua vorticosa fissità. La sensazione del silenzio assordante.
articoli correlati
Sugimoto a Villa Manin
martina gretel
mostra visitata il 21 aprile 2007
L’appuntamento mensile dedicato alle mostre e ai progetti espositivi più interessanti di prossima apertura, in tutta Italia: ecco la nostra…
Tra arti applicate e astrazione: in mostra a Palazzo Citterio fino al 7 gennaio 2026, il percorso anticonvenzionale di una…
A Bari, la prima edizione del festival Spazi di Transizione: promossa dall’Accademia di Belle Arti, la manifestazione ripensa il litorale come spazio…
Il mitico direttore Daniel Barenboim torna sul podio alla Berliner Philharmoniker e alla Scala di Milano, a 83 anni: due…
In mostra da Mondoromulo, dinamica galleria d’arte in provincia di Benevento, due progetti fotografici di Alessandro Trapezio che ribaltano lo…
La Pinacoteca Civica Francesco Podesti di Ancona riapre al pubblico dopo due anni di chiusura, con un nuovo allestimento delle…