La scultura modifica la percezione dello spazio, impone le proprie forme e riempie anche il vuoto che vi è attorno, trasformando nel suo interno l’intero spazio, spettatore compreso. Questi assunti riguardano un filo rosso che corre lungo la scultura contemporanea e uno dei suoi snodi più interessanti passa attraverso l’opera di
Magdalena Abakanowicz (Falenty, 1930; vive a Varsavia).
Nelle sue prime opere, la scultura assume una dimensione peculiare, non solo per l’utilizzo di materiali soffici, in tessuto, in grado di mutare parzialmente la loro forma in base al luogo d’esposizione, ma anche per la loro dimensione “organica”. Gli
Abakans, grandi sculture in fibra vegetale appese al soffitto o riposte sul pavimento, s’ispirano agli organi genitali femminili, ma anche alle forme e ai colori di tessuti corporei ingranditi fino a dimensioni monumentali.
Da un lato partecipano delle prese di coscienza del femminismo, riflettendo sul sesso e sul corpo della donna, ma recuperano anche l’ossessione della piaga e dell’interiorità che ha caratterizzato buona parte dell’arte cristiana delle origini. Una poetica dell’interno che diventa riflessione sullo spazio, in grado di scardinarne le dimensioni, di trasformare nel proprio “dentro” anche ciò ch’è esterno al volume dell’opera.
Lo stesso allestimento sembra ribadirlo, sfruttando le sculture per realizzare le quinte con cui dividere l’esposizione. È infatti l’opera stessa a costituire lo spazio, a darvi senso e a renderlo luogo da esperire, come suggerisce il titolo della mostra,
Space to experience. La retrospettiva ripropone la grande varietà della produzione della scultrice polacca, passata dalle fibre vegetali alla ceramica, all’acciaio.
Dopo le sue grandi sculture di tessuto, Abakanowicz si è interessata a forme d’ispirazione più esplicitamente antropomorfa. Folle di uomini senza testa, che camminano, corrono, danzano, sempre in gruppi numerosi, ma dotate ciascuna di una propria singola identità, soltanto apparentemente indistinta e anonima. Come i suoi
Bambini, che accolgono lo spettatore lungo la parete di fronte all’ingresso. Una folla di piccoli tronchi d’uomo, realizzati mediante stratificazioni di ceramica, dando l’effetto di colate laviche, che arrestano lo sguardo e il passo dello spettatore, come il folto del bosco interrompe un sentiero.
Il tema dell’accumulazione, dell’occupazione dello spazio con molteplici figure si ritrova anche in
Embriology, un impressionante ammasso di soffici bozzoli di varie dimensioni, apice dell’essere in potenza, inquietante metafora di nascita ed estinzione. Nei suoi ultimi lavori, la scultrice polacca ha realizzato figure che costituiscono lo spazio proprio in virtù della loro inaccessibilità ermeneutica. Come
Head 1 e 2, e i due
Cor-Ten Armour, grandi teste senza corpo, in acciaio e corten, incarnazioni futuribili di idoli primordiali.
Alla loro ieraticità fa da contraltare l’inquieta ironia della serie
King Arthur’s Court, undici figure umanoidi costituite da puzzle di acciaio saldati assieme, che compaiono a differenti livelli negli spazi della Fondazione Pomodoro.
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bellissima mostra!!!