Dal
primissimo piano che inquadra la tappezzeria sgualcita ai corridoi lungo i
quali sfilano decine di stanze diverse; dai dettagli di quadri restaurati, a
panoramiche sui depositi impolverati. Se l’attenzione cade prevalentemente
sullo stile barocco di architetture e decorazioni, la sensazione che
gradualmente emerge nello spettatore è però di recidiva piattezza e
artificialitĂ , sensazione che Polidori accentua e mette in risalto attraverso
precise scelte compositive.
Le
fotografie, da un punto di vista puramente formale, risultano indubbiamente
seducenti, se non altro per il sapiente bilanciamento dei colori e l’enorme
ricchezza di dettagli che agiscono sull’occhio a mo’ di calamita. Al di là di
questo, però, il lavoro convince poco.
Polidori crea facendo dialogare, all’interno dell’immagine, tappezzerie,
quadri, specchi e panorama reale, in un intreccio che mira a riflettere sui
meccanismi della rappresentazione. Ma c’è da chiedersi quanto originale sia la
tematica, soprattutto se sviluppata in questo modo.
All’alba
del 2011, in merito a tali questioni appare molto piĂą incisivo un lavoro come Doubble
di Martina Sauter, che “incolla” nella stessa immagine frammenti di reale
e fotogrammi cinematografici, creando un cortocircuito rappresentativo
originale e stimolante. O i Domestic Spaces di Marina Paris,
che si connotano di una carica surreale e vagamente inquietante, sebbene sullo
sfondo di un’estetica abusata dello spazio disabitato. Qualcuno potrebbe
obiettare che lo scopo di Polidori è più semplicemente documentaristico, ma
anche in questo caso Versailles non sembra proporre riflessioni o
soluzioni formali innovative, che vadano effettivamente al di lĂ della
registrazione oggettiva ed emotivamente distaccata (ampiamente declinata, negli
ultimi 25 anni, da tutta la Scuola di DĂĽsseldorf).
La
mostra, a parte qualche piacevole eccezione, fa rimpiangere i lavori
“precedenti”. Quelli, per intenderci, come After the Flood (2006), in cui
Polidori racconta i disastri provocati dall’uragano Katrina, superando
l’approccio “banalmente” documentaristico, per approntare una riflessione –
visivamente potentissima – sul tema della catastrofe. Le immagini di Versailles
riconfermano senza dubbio l’enorme padronanza tecnica del medium
fotografico e lo spirito indagatore di chi, instancabilmente, setaccia lo
spazio in cerca di tracce significative. Ciononostante, risentono di quella
tendenza purtroppo comune a molta fotografia contemporanea: il decorativismo.
Polidori alla
Jarach di Venezia
Marina Paris
alla Galleria Pack
gabriele
naia
mostra
visitata il 17 febbraio 2011
dal
15 gennaio al 27 marzo 2011
Robert
Polidori – Versailles
Galleria Carla Sozzani
Corso Como, 10 (zona Stazione Garibaldi) – 20154 Milano
Orario: martedì e da venerdì a domenica ore 10.30-19.30; mercoledì e giovedì
ore 10.30-21; lunedì ore 15.30-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 02653531; fax +39 0229004080; info@galleriasozzani.org; www.galleriasozzani.org
[exibart]
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"genere stantio del documentario oggettivo"?
"banalmente documentaristico"?
Sono giudizi di gusto che lasciano intendere un preciso pensiero sull'indirizzo che dovrebbe prendere la fotografia contemporanea. Eppure io non concordo sul fatto che "Versailles" sia meno interessante di "After the Flood". Entrambe le serie indagano criticamente il tema della catastrofe, ma non quella dell'uragano Katrina, bensì quella a cui siamo giunti perché insoddisfatti del mondo reale a cui preferiamo l'intrattenimento, la vita adulterata dallo spettacolo. Certo che c'è "decorativismo": sono fotografie di quadri e arredamenti creati per essere decorativi! Facciamo uno sforzo, la fotografia di Polidori è pensiero in forma di immagine, non l'illustrazione di un pensiero.
p.s.: forse c'è un refuso, la serie di Martina Sauer è intitolata "Double", non "Doubble".