C’è una sorprendente corrispondenza, in questa mostra, tra i contenuti, il contenitore e l’ordinamento, come se Ferdinando Mazzocca, conoscitore come pochi di questo secolo, ne fosse anche totalmente ammirato e permeato. La mostra infatti si snoda lungo le sale del neoclassico Palazzo Reale con la chiarezza e l’estensione di un autore dell’Encyclopedie.
400 opere si raggruppano in limpide cornici storiche e tipologiche, prima fra tutte il mito dell’Italia e dell’antico: infatti, rispetto alle due grandi mostre precedenti di Londra (1972) e quelle di Philadelphia e Houston (2000), qui si è voluto individuare un discrimine storico, identificando il Neoclassicismo con la riproposizione della civiltà del mondo antico come modello per il presente, e, sul piano delle istituzioni, con l’attività riformistica dei sovrani illuminati.
Sono proprio i paesaggi italiani a risplendere nella prima sala tra placide suggestioni arcadiche, primi brividi da “sublime” di Patch e Wutky, e i modelli in sughero degli edifici greci e romani, per arrivare a cogliere in Tiepolo, figura di passaggio tra due stili, il crepuscolo del meraviglioso.
Quali dovranno essere i nuovi temi e il nuovo stile lo dicono le Accademie, con il loro accanimento sulle lezioni di nudo e con la nuova moralità dell’Olimpo: se di dei si vuole parlare, si parli solo delle loro virtù con uno stile severo e castigato.
In questa mostra sono due i luoghi in cui, esorcizzando in qualche modo i fantasmi del passato, si entra in contatto con la stessa emozione che accompagnò la scoperta dell’antico nelle sue città sepolte.
In primis la grande Sala delle Cariatidi, che appare con un’improvvisa sinfonia di bianchi svelati dalla luce: sono quelli del biscuit di Giovanni Volpato per il monumentale centrotavola composto da 73 figure allineate con il gusto collezionistico del tempo, sotto il segno della imperturbabile bellezza dell’antico.
Una dimensione “domestica” che bilancia l’aulica serie dei bassorilievi in gesso di Canova; già esposti alla Fondazione Cariplo nel 1993, trovano qui la loro dimensione ideale, guardati dall’alto dai lacerti delle cariatidi del salone bombardato nella seconda guerra mondiale.
L’altro luogo di profonda emozione, dopo decenni di incuria e di ritardi, è quello delle tre sale riportate agli antichi splendori: con restituzioni anche dolorose è possibile ora finalmente rileggere l’impianto progettato dal Piermarini con gli stucchi di Giocondo Albertolli, gli affreschi di Martin Knoller, le sovrapporte di Traballesi, i pannelli di Andrea Appiani e la magnifica serie di arazzi con le Storie di Giasone realizzati nella prestigiosa manifattura reale francese dei Gobelins.
Un restauro importante quanto complesso, esempio del progetto Museo della Reggia che sta avviando il Comune di Milano in collaborazione con le Soprintendenze. Impossibile riassumere i 20 temi affrontati in mostra come, ad esempio, il legame arte/ scienza/ tecnica, e tantomeno elencare i numerosi capolavori, non solo nella grande pittura, ma anche nelle arti decorative come i cassettoni e la toilette di Giuseppe Maggiolini, le poltrone di Bonzagnico, gli argenti di Boucheron e di Valadier, i modelli di Petitot, le manifatture di Doccia e di Capodimonte.
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Il sito della mostra
Gabriella Anedi
mostra visitata il 2/03/2002
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Per Gabriella Anedi: puoi dirmi qualcosa su "Angelica Kauffmann"? Grazie.