Non è la prima volta che Mario Sironi e Constant Permeke si ritrovano a condividere spazi espositivi. Era già successo nel 1984, presso la Galleria L’Attico di Roma, e anche Roberto Longhi si era espresso in merito, avvicinandoli, più come detrattore di Sironi, ad onor del vero. L’accostamento, dunque, non è inedito e le comparazioni tra i due ciclicamente riemergono. Vincenzo Trione, curatore della mostra, ha il coraggio di proporre, nel vasto panorama delle esposizioni, una rassegna a tesi, che tra l’altro emerge molto chiara. I due pittori appartengono alla stessa generazione, Permeke nasce nel 1885, Sironi l’anno dopo; i loro percorsi sono diversi, come le personalità. Ma qui, l’intento del curatore, non è di mettere i due artisti in contrapposizione: le assonanze e le dissonanze permangono. Emerge chiaro l’obiettivo: fondere i due in un’unica identità, come se si trattasse della mostra di un solo artista, pur con espressività diverse. Secondo Trione è la modernità del linguaggio ad accomunarli, ed è senz’altro vero, anche se forse riduttivo. La mostra, comunque, ha una sua potenza perché, attraverso le quattro sezioni, dedicate agli uomini (Il genio è l’anima), alle architetture (Architetture analoghe), ai paesaggi (Paesaggi paralleli), e ai due autoritratti (Lo specchio dell’Io), mette sotto sforzo teorico l’approccio dei due maestri. La rassegna, molto ricca d’importanti opere, sia di Sironi che di Permeke -quest’ultimo forse per la prima volta esposto in maniera così ampia in Italia- pone una riflessione più basata sulle divergenze che sulle affinità.
Ancora più distanti sono i paesaggi che fanno da sfondo. Urbano l’uno e rurale-marino l’altro. Forse la somiglianza più forte tra i due artisti sta nella monumentalità che emerge dalle tele, simbolo di un tentativo di trasformazione epica della realtà. In mostra sono presenti, in più punti, interventi fotografici di Francesco Jodice che vogliono documentare, sulle tracce di Sironi e Permeke, i mutamenti urbani delle città di Milano e Ostenda.
Passeggiate urbane pervase da un intento classificatorio, colgono il battito della trasformazione cittadina contemporanea. Ma gli interventi di Jodice risultano in qualche modo schiacciati e le potenzialità di queste immagini non trovano un adeguato contesto per esprimersi compiutamente.
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