Nella prima opera scritta da Nietzsche (1844-1900), La Nascita Della Tragedia (1871), il filosofo tedesco delinea i due caratteri fondamentali dell’arte: l’apollineo e il dionisiaco, che trovano la loro perfetta fusione nella tragedia antica. Ispirandosi alle divinità classiche di Apollo e Dioniso, egli individua due elementi diversi dalle caratteristiche contrastanti: l’apollineo, razionale e calcolato, che rappresenta la giusta misura e l’ordine del mondo, versus il dionisiaco, irrazionale e spontaneo, che esprime le emozioni più profonde e nascoste dell’uomo, senza freno o moderazione.
Secondo Luca Palazzoli, curatore della mostra allestita alla Galleria Blu, i due opposti nietzschiani si vedono riconciliati nell’arte dell’informale in Europa. Gli artisti di questa tendenza, infatti, lavorando all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, sono sconvolti dall’orrore e dalle devastazioni del conflitto e per rifiuto dalla situazione storico-politica dell’epoca decidono di rompere con la tradizione di ciò che era stato fino a quel momento intrapreso. Coscientemente, abbandonano la definizione della forma e la chiarezza del segno, esaltando l’apollineo, ovvero scegliendo con la ragione una strada nuova e innovativa. Sono i sentimenti veri e i turbamenti dell’intimo che affiorano dalla tela, in modo indistinto ma forte e vivo, tramite la potenza espressiva della materia, accumulata e straziata. Il dionisiaco esprime l’emotività del gesto e del mondo interiore degli artisti.
La mostra presenta una quindicina di opere scelte, veri e propri gioielli dei maggiori esponenti dell’informale del panorama italiano e straniero. Tele aggressive, dal contenuto forte e drammatico, che, pur in modo indefinito, trasmettono un chiaro messaggio di disperazione e terrore.
Il vuoto e l’oscurità parlano dal quadro di Jean Fautrier (Parigi, 1898- Chatenay-Malabry 1964), Senza Titolo (1935), dischiudendo un abisso interiore. Giuseppe Santomaso (Venezia, 1907-1990) raffigura con larghe campiture di colore una Palude (1958), simbolo di una realtà stagnante e amorfa in cui l’uomo corre il pericolo di sprofondare e perdersi per sempre. Il groviglio di linee senza inizio e senza fine di Tancredi (Feltre,1927- Roma, 1964) rappresenta il caos e la confusione della mente e del cuore dell’artista. La Testa (1950) di Jean Dubuffet (Le Havre 1901, Parigi 1985), maestro e precursore del graffitismo, urla senza voce e senza ascolto in uno sfondo cupo e opprimente. Anche Lucio Fontana ( Rosario Di Santa Fè- Argentina 1899, Comabbio 1968), fondatore dello Spazialismo, partecipa alla rassegna, non tagliando ma perforando la tela con fori angoscianti e impetuosi (Concetto Spaziale, 1963-1964).
Magnifico il sacco del 1956 (SP1) di Alberto Burri (Città di Castello- Perugia, 1915- Nizza 1995) che esprime tutta la paura della povertà, l’idea delle macerie della guerra, la sensazione della fame, suggerita dalle pieghe del materiale che sembrano delineare un triste figura scheletrica. Dai rifiuti del mondo, l’artista crea una poesia sublime, raccontando le storie che ogni oggetto porta con sé.
L’arte abbatte la cultura dominante per esprimere le emozioni più vere e dolorose in un grido di protesta e di denuncia. Il senso della tragedia si concretizza nello spessore e nella lacerazione del materiale informe e grezzo, nuova identità poetica, autonoma e indipendente da tutta la realtà esterna. La materia, bruciata, incisa e graffiata, si fa carico del disagio dell’artista e diventa la custode desolata del suo tormento.
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