Prendete un giorno qualunque, in preda a una crisi di nervi. Una stanza, magari la vostra, su cui sfogare la rabbia. La logica domestica degli oggetti rovesciata. In pochi istanti, le quattro mura diventano la piazza di una folle concatenazione architettonica di oggetti comuni violati. Lo sfogo impulsivo del gesto come un sublime e incontrollato atto di creazione, che cambia il significato del rassicurante ordine (o disordine controllato) della quotidianità.
Quella cecità del gesto, nello speciale stato di trance creativo, ricorda le opere di
Pierpaolo Campanini (Cento, Ferrara, 1964) che, come lui stesso sostiene, partono dall’idea della dispersione, con un particolare interesse per le forme auto-collassate. Oggetti afflitti dal peso inesorabile della gravità, che li risucchia verso il basso, sono sequenze compositive sregolate e libere, come un gesto mosso da un forte impulso emozionale. Eleganti e decadenti nature morte iperrealistiche di cianfrusaglie, che sviluppano, fino a rendere soggetto dell’intera opera, il tema dell’ammaccatura sulla mela caravaggesca (
Canestro di frutta, 1596 ca.): tutto è rivolto al declino.
Campanini prende piena consapevolezza dell’inevitabile perdita di controllo sull’inarrestabile rapporto causa-effetto: un ciclo di meccanismi che sempre più si allontanano dalla fonte d’origine. L’artista crea sculture-modello da cui ricava minuziosi oli su tela che ricordano certe macchine/assemblaggi di
Tinguely, se non fosse per la mancanza di funzionalità nel rapporto fra le parti della composizione. Un prezioso elogio alla morte del significato dell’oggetto, per nobilitarlo raffigurandolo con una calda minuzia pittorica, paragonabile a un
Giovanni Bellini o a un
Van Eyck, e a un gusto decorativo tardo gotico, con una predilezione per lo scintillio dell’oro.
I recentissimi lavori in mostra alla Galleria Kaufmann scelgono di spogliarsi della tipica ricchezza cromatica per un morbido gioco di sfumature a carboncino e grafite, dal bianco al nero. I soggetti trovano ambientazione in un soleggiato e rigoglioso giardino, la tensione si placa in controllate e geometriche composizioni lignee, che danno un tono più modesto e confidenziale all’opera. Il materiale è interamente, esplicitamente povero, ma gode di forza solenne e pacata.
Moderni totem o altari? Forse richiami a edifici del futuro, o magari semplicemente libere congetture? Senza dubbio richiamano lo
Sky Totem di
Louise Nevelson o il curioso
Construction pour dada di
Paul Joostens. Il materiale, sempre relitto di una vita passata, è il protagonista delle opere di Campanini, conferendogli nuova dignità.
Scriveva
César in un’intervista del 1983: “
Io percepisco un’anima nella materia”. E con il medesimo rispetto per tutti i materiali, l’artista li manipola con gioia, assemblandoli. Illustre predecessore, insieme a molti altri, da cui Campanini sembra aver tratto preziosi insegnamenti.
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Ecco un'artista che riesce a coniugare una certa freschezza eccentrica con soluzioni formali "rispettose" ma originali.
un artista senza apostrofo caro Luca Rossi, è un uomo. impara a scrivere in Italiano
Mi riferivo alla parte femminile di campanini..comuque sì, scrivo sentenze troppo velocemente
se ti piace il lavoro o questa mostra o anche solo una parte di ciò che fa campanini allora tutto è chiaro, Luca Rossi, non ti piace e critichi quel po' che l'Italia propone a livello internazionale perchè sei uno sfigato.
Campanini..., ahahahahahahahahah