Ulrich Rückriem (Düsseldorf, 1938) nasce come scultore per immense architetture sacre. I suoi inconfondibili blocchi massivi di pietra smussata, anche se all’apparenza grezza, hanno sparso silenzi e restituito purezze agli spazi delle più grandi gallerie del Nord-Europa. La bellezza dell’intero processo scultoreo dell’artista tedesco mira a trasmettere, a tramandare più che a esprimere chiarezza e semplicità. La staticità conservativa e vigile dei lavori ricorda, per volume e imponenza, le file circolari di monoliti sacri, innalzate a protezione cosmica, dei più famosi
henge celtici. Ma si differenzia anche per la trascuratezza ricercata delle sculture, che lasciano trasparire la vera memoria di ciascun solido, rendendolo parte integrante dell’apparato estetico dell’opera.
La caratteristica imprescindibile dell’avanzata scultorea di Rückriem è la capacità di rivelare come materiali quali il granito o il porfido possano diventare segno del processo di trasformazione della pietra, creando una diegesi autonoma rispetto allo spazio attorno a ciascuna opera. Dunque, tanto l’agire sulla pietra rivela, man mano che s’insiste sul suo aspetto originario, la superficie immateriale sotto la superficie naturale, tanto più le installazioni si fanno austere, scheggiate, leggere ed essenziali. La completezza di questo riquadro estetico, la rapidità chiarificatrice e la basicità minimalista del pensiero di Rückriem sono tre fondamenti della sua produzione.
Alla sua seconda personale presso lo Studio Invernizzi, l’artista tedesco presenta tre diverse serie di disegni recenti; lavori appartenenti alla serie
Blocks, creati e ordinati secondo una stratificazione modulare di elementi geometrici sovrapposti. I disegni alle pareti, come consuetudine di piccolo formato, sono segmenti compositivi dipinti su fogli di acetato e poi portati a combaciare, stesi l’uno sull’altro e pressati al di là del vetro, una sottile lastra che completa la cornice. Come isole geometriche che non si scambiano, non diventando mai complanari, questa serie di disegni opacizza la trasparenza della forma, riducendo a scacchiere incomprese il delicato incastro delle forme nere.
In mostra, ideato secondo gli stessi principi della proiezione ortogonale progressiva, anche
The queens problem of chess, un’opera tratta dalla precedente personale dell’artista e nuovamente costituita dalla stratificazione di una serie di disegni su acetato raffiguranti le 92 possibilità di disposizione di 8 colonne su scacchiera composta da 8 quadrati per lato che, spostate in orizzontale, in verticale e in diagonale, non si incontrano mai.
Al piano inferiore sono esposte ventuno coppie di disegni in bianco e nero e otto lucidi di medie dimensioni, tutti appartenenti dell’inedita serie
Constellation. Questi lavori ripropongono nidi angolari di proiezioni geometriche, tracciate dalle inserzioni di pieni e vuoti. La danza ortogonale di queste forme è una stasi ritmica che restituisce al concetto di contenuto sezioni positive e negative, lasciando negli occhi un impercettibile rimando all’estetica optical.