Lo scambio di residenze ed esperienze è il fulcro che caratterizza la rassegna Inhabituel, e lo scenario di questo nomadismo culturale è Parigi, grazie alla collaborazione fra la Dena Foundation for Contemporary Art e ciò che di più vitale esiste a Milano, si tratti di curatori, istituzioni o centri culturali. Il risultato è una doppia mostra degli artisti che hanno preso parte al programma di scambio e una serie di eventi, fra i quali un interessante dibattito che si è svolto alla presenza, fra gli altri, di Jimmie Durham. Dibattito reso assai peculiare dal fatto che è avvenuto proprio sulle teste degli ignari visitatori, con un gruppo che discuteva e dialogava intorno a un enorme tavolo sospeso sulla sala, opera-installazione di Luca Vitone.
Il corpus principale dei lavori si trova alla Fabbrica del Vapore. Il livello è ovviamente non omogeneo, ma alcuni artisti si distinguono con forza nel caotico spazio espositivo. Come a rassicurare il visitatore quanto a rilevanza della rassegna, fra i primi artisti nei quali ci si imbatte c’è Elisabetta Benassi (Roma, 1966) con due serie fotografiche caratterizzate dalla consueta sospensione del quotidiano. Dafne Boggeri (Tortona, 1975) ha sfruttato appieno i luoghi parigini con una performance -risolta in mostra con un video, alcune fotografie e un’installazione- durante la quale ha deambulato in sella a una Bmx che recava nel cestino anteriore un essere coperto da un asciugamano, presenza-assenza celata che si raddoppiava nel cappuccio che copriva il volto dell’artista. Per proseguire con le presenze femminili, che in quest’occasione si sono rivelate le più interessanti, Ghazel (Teheran, 1966) ha distribuito in forma di volantino e incollato all’esterno in forma di manifesti una ficcante offerta. Amara ironia, il soggetto è una donna di 38 anni, “artista, medio-orientale”, senza permesso di soggiorno, che si presta a matrimonio per evidenti motivazioni. Torna la tematica delle difficoltà reali d’ogni scambio culturale nel lavoro di Hsia-Fei Chang (Taipei, 1973), che utilizza carezzevoli fiori in tessuto e plastica per comporre una scritta murale. Ma i due fattori che intervengono a smorzare l’aspetto mieloso dell’installazione provengono dalle culture che costituiscono la base del lavoro stesso: quei fiori a Taiwan ricoprono i cadaveri nelle cerimonie funebri, e la parola “Salope” che viene con essi composta non ha certo un significato di benvenuto.
Fra le presenze maschili, un lavoro che miscela sapientemente impegno civile e poesia è stato presentato da Mark Hosking (Plymouth, 1971). Valige e ombrelli che, rivestiti all’interno con fogli d’alluminio, sono catalizzatori di luce e calore, esempio di fonte energetica assolutamente ecologica e facilmente trasportabile. Infine, la tecnologia e l’ergonomicità che divengono funzionali al controllo sono sviscerate da Elia Mangia (Milano, 1976), che ha progettato e in parte realizzato oggetti dal doppio uso certamente singolare, come letti/bare, scrivanie/celle, tavolini/pregadio.
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silvio b. ha(i) perfettamente ragione, scusate la svista. l'artista è una "ex-S.P.S" e lo offre a "Uomo clendestino", come recitano il manifesto e il volantino.
non per ridimensionare la inesattezza, ma il concetto è in entrambi i casi il rapporto fra mobilità e legislazione in merito
caro MEG,
l'artista araba con i suoi manifesti e l'offerta di matrimonio non cerca un permesso di soggiorno perchè lei lo ha già, offre invece la possibilità ha chi non lo ha di ottenerlo sposandola.
please.......