È transitata a Londra e Parigi, Roma e Ginevra, Vienna, Tokyo e Sidney: percorso degno di una grande mostra, se non fosse che per ora non si prevedono sedi statunitensi. Ma verranno anche quelle, quasi sicuramente. Per la tappa milanese è stato scelto Palazzo della Ragione, reduce dalla personale di Darren Almond organizzata dalla Fondazione Trussardi.
Aldilà delle presunte elucubrazioni sulla continuità dell’arte del paese maghrebino, la mostra – che comprende circa ottanta lavori – si suddivide in due tranche distinte. Da un lato, le splendide opere dell’antichità libica, frutto non solo della produzione artistica locale ma scaturenti dal confronto con altre culture succedutesi nel corso dei secoli: fenici e greci, romani e vandali, bizantini e arabi. Sfilano dunque opere archeologiche di grande valore, custodite abitualmente nei musei di Tripoli e Cirene: conservati splendidamente sono i mosaici romani (II-III secolo d.C.), mentre da Leptis Magna proviene una magnifica stele di fattura fenicia.
La seconda parte riguarda l’arte contemporanea libica, rappresentata in gran parte(guarda un pò) dai lavori dell’architetto figliolo del colonnello, Saif el-Islam Gaddafi (Tripoli 1972). Sono ben 37 i quadri che ha tradotto dal paese d’origine, in gran parte costituenti la serie che dà il titolo all’intera mostra: opere che, a suo dire, fanno propria la lezione del surrealismo europeo, con sospensioni oniriche e tendenze all’informale. Spesso i soggetti si àncorano alla realtà locale, in senso sia reale (il deserto, costituito di rocce e non necessariamente successione di dune sabbiose in ocra gialla, come nello stereotipo occidentale) che mitico (il cavallo simboleggiante la libertà, i tappeti volanti). Altri lavori testimoniano della formazione europea del delfino, citando luoghi e metereologie che di nordafricano hanno poco. Un medesimo basculamento fra tradizione e modernità si riscontra nei materiali e nelle tecniche: alla tela capitano di sostituirsi tavole in legno o manufatti beduini, mentre alla pittura può subentrare l’incisione.
Vengono poi altri due “compagni di strada”: Fawzi Omar Swei (Tripoli 1955) e Salaheddine Shagroun (Tripoli 1956). Il primo è caratterizzato da una pittura
Il dato giustamente sottolineato è la tonalità accesa dei cromatismi, che svincolano il lavoro dei tre artisti dal topos pregiudiziale di un ambiente maghrebino fatto solo di colori tenui ocra e gialli. Forse non è gran cosa: si spera almeno che questa mostra serva a sostenere la causa umanitaria della Fondazione, mentre per diffondere l’arte contemporanea del Nordafrica attendiamo che si muovano istituzioni o privati dotati di un approccio meno “timoroso”…
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