Superfici scabre, biomorfismi, corpi avviluppati su sé stessi: la scultura di Saint Clair Cemin (1951, Cruz Alta, Brasile) affonda le sue radici nelle avanguardie storiche. Prendendo spunto dalla plastica surrealista e fondendo la materia grezza di un Alberto Giacometti con le astrazioni lineari di un Naum Gabo. Senza dimenticare la lezione del Modernismo catalano: valgano per tutti le facciate liquide, cariche di atmosfere moresche, realizzate da Antoni Gaudì tra la fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso. Ma non solo. Se i contenuti -e il loro rapporto con la forma- hanno origini recenti, i colori e la tendenza all’astrazione smodata sembra rifarsi più che altro al barocco sudamericano. In cui alla tradizione mutuata dall’immaginario cristiano, vanno ad aggiungersi suggestioni provenienti dalle preesistenze autoctone. E, come in ogni cultura priva di un supporto teorico che si rispetti, –pensiamo alle nette distanze tra la plastica classica e quella magnogreca– la scultura e il vasellame latini aggiungono all’originario filone occidentale una forte carica folkloristica. Fatta di grottesche, anatomie poco proporzionate, tinte estremamente vivaci, temi paganizzati.
Saint Clair Cemin prende questo materiale “artigianale”, lo miscela con l’alta plastica, la sua conoscenza della norma scultorea, la formazione ricevuta a New York e Parigi, e ne trae un linguaggio personalissimo, colto ed elegante, pur ravvivato da un vitalismo tutto sudamericano. Per la sua personale alla Galleria Curti Gambuzzi di Milano, l’artista brasiliano presenta una serie di diciotto ceramiche realizzate in quel di Vietri Sul Mare nel 2005. Corpi di materia grezza assemblata in silhouette che ricercano un contatto, un referente con la realtà , sia nel soggetto che nell’allusione ad una possibile, fittizia funzionalità . Gli oggetti in mostra assomigliano infatti vagamente a suppellettili di uso comune; in realtà si attengono con estrema dignità al proprio destino-ruolo primario di opera d’arte.
Tra essi spiccano le bicromie astratte di Gattolicismo e Titan, brocche antropomorfe, in cui il movimento della materia è sottolineato dagli intrecci di campiture bianche e nere e dalle linee di fuga che percorrono tutto il corpo dell’oggetto. A cui fa da contrappunto la tavolozza selvaggia di La recerche de l’absolu, in cui il raggiungimento delle sfere celesti è dato dall’impilare tavolini in ceramica che si restringono progressivamente, man mano che salgono verso l’alto. Fino alla commovente Virgo, in cui la maternità di Maria è allusa da un piccolissimo, quasi non identificabile riquadro, posto immediatamente sotto al seno, in cui lo spettatore attento potrà riconoscere le fattezze, a mala pena abbozzate, del bimbo che la donna porta in grembo, immagine intima e raccolta della condizione umana e del suo rapporto con la divinità .
santa nastro
mostra visitata il 10 maggio 2006
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