Immaginate di affacciarvi dalla finestra e di non ritrovare più il paesaggio a cui eravate abituati, ma, improvvisamente, di sentirvi catapultati nell’atmosfera desolante di un limbo post-industriale cui, volente o nolente, dovrete imparare ad appartenere. Scendete in strada, angosciati, tanto che infilate, veloci, la giacca sull’orribile pigiama che vi ha regalato vostra madre, con la cognizione del tempo e dello spazio annebbiata dalla luce livida e inquietante dell’atmosfera. In controluce si stagliano le sagome poco rassicuranti di una città fantasma: profili di grattacieli, ciminiere, alberi spogli, simulacri di una civiltà nel suo inverno, che una volta fiorita, ha scrollato da sé tutte le foglie. Ciò che resta? Cieli avviliti, la fissità di totem eterni – Stonehenge della modernità -, scenari al limite dell’apocalittico, scheletri di un potere abbattuto da una rivoluzione temporale. Fino all’esaurimento.
Farci sentire gli ultimi uomini sulla terra, l’intento di Daniele Bordoni (Jesi, 1974)? In un creato sconfitto dall’uomo, abbrutito dalle sue costruzioni, invecchiato forse dall’inquinamento, il segno a grafite dell’artista delinea, implacabile, i mostri in rovina del progresso, galleggianti su macchie d’acquarello violacee, in cui i ruoli sono facilmente ribaltabili. L’aggredita, la natura, si ribella, prende il sopravvento. Ritorna matrigna, annulla ogni nostra difesa. Sprofondiamo in un neo-primitivismo e siamo facili prede del panico, colti da quel senso di spaesamento che provoca il varcare La Zona, “…la vita” attraversando la quale “ l’uomo o si spezza o resiste”, sempre che sia in grado “di distinguere il fondamentale dal passeggero”, come recita Tarkovskij, in relazione a Stalker, da cui la mostra di Bordoni prende il nome.
Così, nella contemplazione annichilita della società al declino, ci troviamo a riconsiderare noi stessi, la nostra individualità, la condizione terrena, e il senso di solitudine che essa comporta. Con un colpo di dadi postmoderno, fatto d’ambiguità e connessioni di linguaggi, in una figurazione che fonde le proprie istanze con la cinematografia. Musa indispensabile di cui assimila il linguaggio e le strutture, traendo i contenuti non solo dal già citato Scolpire il tempo, ma anche da Ballard, Bataille, Blade Runner o il più recente Matrix, per fare alcuni illustri esempi. Ed questo immaginario escatologico che fa dell’opera di Bordoni una “pittura di fantascienza”.
santa nastro
mostra visitata il 15 marzo 2005
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