Milano rende omaggio a William Kentridge, (Johannesburg, 1955),
celebre autore sudafricano noto a livello internazionale, che da sempre fa
della sua arte uno strumento di rivendicazione politica contro il razzismo e la
tragica esperienza dell’apartheid. Nell’anno dedicato all’Africa, diversi luoghi
della città si aprono a Kentridge (Scala, Teatro Verdi, galleria Lia Rumma,
Triennale), iniziando da Palazzo Reale. A lui sono destinate due
sale, la Sala delle Otto Colonne, che come scrive la curatrice Francesca Pasini
si trasforma nel teatro privato degli antichi palazzi nobiliari lombardi e la
stanza precedente, sorta di foyer espositivo. Pochi lavori, ma di intensa
pregnanza. Il percorso comincia con
due grandi arazzi, dedicati a Napoli, che derivano dal lavoro di preparazione
per l’opera Il Naso di Shostakovich
tratto da Gogol’ (Metropolitan di New York, 2010) e un filmato, testimonianze
della versatilità dell’artista, capace di spaziare con eleganza e dimestichezza
tra media differenti. Kentridge è disegnatore, pittore, scultore, incisore,
regista, attore, scenografo…
Le opere sono incentrate sul tema del libro, uno
dei soggetti preferiti della sua ricerca. Sul volume proiettato compaiono
alcuni disegni di Repeat e la
registrazione del concerto. Bianco e nero sono i
colori dominanti della mostra che tornano nei video Breathe, Dissolve, Return, eseguiti nel 2008 per l’opera (Repeat) From the Beginning/Da capo alla Fenice di Venezia. Piccoli pezzetti di
carta nera, come residui di cenere della memoria, prendono forma di figure
animate del mondo della musica, del teatro, del varietà: cantanti, musicisti,
attori… Quindi, immagini acquatiche, “proiezioni riverberate dall’acqua” e
ancora mobili sculture bidimensionali, leggere come le costruzioni di Calder (Lawton, Oklahoma, 1898 – New
York, 1976). Apparentemente incerte e realizzate con semplicità di mezzi
_frammenti di carta, cartoncino e fil di ferro, disposti su piattaforme
rotanti_ mettono a fuoco, girando
su se stesse davanti alla cinepresa, nuove sagome, come ombre cinesi, che
magicamente si compongono e scompongono ai nostri occhi, accompagnate dalla
musica, in un gioco dei sensi e della percezione. Secondo Kentridge si tratta
di “antisculture”, perché “rigettano la propria tridimensionalità e si
aggrappano alla piattezza della proiezione”. La disintegrazione dell’immagine e
la sua ricostruzione a partire dai frammenti è la base “per capire se stessi e il mondo”. Un autore che sembra
fuggire la tecnologia per ritrovare un’arte arcaica, creata con sistemi quasi
artigianali e soggetti che appartengono al mito e al quotidiano.
I suoi maestri
dichiarati? Hogarth (Londra,
1697-1764) e Goya (Fuendetodos,
Saragozza 1746 – Bordeaux, 1828), storici e politicamente impegnati. Non a caso suo padre è un
avvocato bianco che nel 1961 difese in tribunale le famiglie delle vittime di
colore dei disordini di Sharpville. Numerosi anche i riferimenti critici a Rembrandt (Leida, 1606 – Amsterdam, 1669) per la pratica delle varianti e delle cancellature, che diventano
segni e “traccia del tempo di realizzazione dell’immagine”.
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William Kentridge – Napoli, Museo di Capodimonte
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vera agosti
mostra visitata sabato
26 marzo 2011
Dal 16 marzo al 3 aprile
2011
William Kentridge & Milano. Arte Musica Teatro
A cura di Francesca
Pasini
Palazzo Reale
Piazza del Duomo, 12
20122 Milano
+39 02875672
www.comune.milano.it/palazzoreale/
orario:
lunedì 14.30-19.30;
martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30-19.30;
giovedì e sabato 9.30-22.30.
(possono variare, verificare sempre via
telefono)
Ingresso: biglietto unico 5 euro
catalogo: Giornale d’artista-24Ore
Cultura
ufficio stampa: 24Ore
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