Secondo la Teoria dei colori Il nero è l’assenza di luce. Eppure guardando le opere di Antonio Biasiucci, forse proprio perché imbevute in questo non colore, ne possiamo cogliere le sfumature. “Tombola”, in mostra alla galleria Casamadre di Napoli, è un omaggio alla città dove vive e lavora. Il modo in cui dal buio emergono solo le forme essenziali, di mani, ex Voto, maschere e corpi riporta, come una forza genitrice, al processo di sviluppo in camera oscura. Un luogo intimo, dove solitamente l’artista “rivede” le tracce di una memoria personale, nel momento in cui si sono intrecciate con quella collettiva. Una visione solitaria, quasi archeologica, quella di Biasiucci, che affonda nell’oro nero, quello dei ricordi, molto simile a una cosmogonia interiore “in cui si generano e contrastano spinte e tensioni, con sùbìti vuoti e zone d’inerzia”.
Dettagli, immagini sfocate, si fanno tasselli di una cultura, quella napoletana, che riflette sulla sua cieca immortalità. Un gioco di sopravvivenza, come se la sfida fosse anche quella di lasciare nell’indefinito un luogo, proprio come fa la nostra mente. La città partenopea, con i suoi punti di bellezza paesaggistici, artistici, folcloristici è qui presente nella sua ammaliante veste nuda di dettagli che raccontano una città più volte violentata da un’etichetta che, forse, non la rispecchia complessivamente nell’anima.
Un equilibrato uso di sottrazioni, quello di Biasiucci, che si ispira all’antico gioco clandestino della Tombola, ufficializzato poi nel settecento da Carlo III di Borbone, per riordinare, sulle ampie pareti della galleria Casamadre, significati e significanti, quasi colti, come se fossero immortalati in un dialogo interno tra passato e presente.
Molto simile a una scacchiera mentale, le percezioni che fluiscono dalle immagini sembrano animarsi, mutare, man mano che gli occhi scorrono da una casella all’altra. Ciò riporta inevitabilmente al lavoro dinamico, di indagine e ricerca sul territorio, che Biasiucci attua dagli anni ‘80, incamminandosi dalla periferia alla campagna napoletana. Una produzione impegnativa che lo ha visto esploratore di terre desolate, portandolo ad elaborare una sua viscerale ed intima poetica visiva.
90 opere facenti parte dell’archivio personale dell’artista, come le mani, i piedi e i volti dei migranti della serie “The dream”, realizzata con l’aiuto dell’assistente Luca Monzani e di Rouaf, rifugiato curdo, a Chios, in Grecia. «Prima di partire per Chios era mia intenzione realizzare un grande polittico di mani e piedi dei rifugiati. Ero rimasto colpito dalle riprese che vedevo in televisione dei migranti che mostravano le loro mani e i loro piedi, affinché i medici potessero capire se vi erano tracce di scabbia».
Le pieghe delle mani sembrano confondersi con il Magma delle immagini realizzate lungo i pendii, i crateri di vulcani come il Vesuvio, i campi flegrei o la Solfatara, resi nel dettaglio, nella loro natura terrea quasi apolide.
Alla casella numero 25, Natale, corrisponde un Ex voto, che sebbene privato della sua patina dorata, indice di una preziosità materica, mostra una rinnovata luce nelle linee che lo incorniciano, come se spogliandolo della veste esterna, rivelasse una traccia sottocutanea indelebile.
Lo stesso destino accomuna le opere facenti parte di “Crani”, provenienti da reperti conservati al Museo Archeologico di Napoli: un altro pezzo del Puzzle che nelle parti mancanti lascia spazio a vuoti, fratture, per poi rimarginarsi in una nuova “paideia” atemporale. Una trasfigurazione che inverte i flussi tradizionali, come uno svelamento che dona alle percezioni il primato sulle illusioni materiche.
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