Sol Calero, Casa encontrada, 2023. Installation view at Francesca Minini, Milan. Courtesy Francesca Minini, Milan. Photo Andrea Rossetti
Fino al prossimo 6 maggio Francesca Minini presenta “Casa encontrada”, la prima personale in galleria di Sol Calero (Caracas, Venezuela, 1982). Fedele al suo approccio installativo, l’artista trasforma lo spazio espositivo in un’abitazione (una casa trovata) che invita lo spettatore a scoprire i resti e i frammenti di storie e luoghi che hanno cessato di esistere. In questo viaggio di ritrovamento, come immerso in un sito archeologico, l’osservatore-attore può esplorare un luogo carico di geroglifici mnemonici fatto di colonne e arcate, di un mosaico che affiora dal pavimento, di oggetti come un letto e osservare alle pareti i grandi dipinti che costituiscono un punto di rottura rispetto alla ricerca precedente dell’artista. Se in passato i soggetti dei quadri di Calero erano più definiti e facevano indubbiamente riferimento alle sue origini, la nuova produzione risulta più dissimulata e si concentra sull’intreccio tra l’azione umana e quella naturale.
«L’interazione fa parte del processo dell’opera d’arte poiché attraverso lo sguardo, che è a sua volta un intervento, l’opera si trasforma in funzione delle prospettive e delle conoscenze di ciascuna delle persone che visitano la mostra. Con questo progetto esploro spazi abbandonati, attraverso la pittura e l’architettura. E così facendo, aspetti che solitamente sono presenti nel mio lavoro acquistano qui un’altra valenza, come il modo in cui viene rappresentata la natura. La relazione tra abbandono, spazi di solitudine e appropriazione o trasformazione della natura all’interno di quegli spazi introduce zone ibride, nuovi territori di riflessione che sto approfondendo».
Calero, che pur vivendo e lavorando da anni in Europa ha trascorso il periodo dell’infanzia e della giovinezza in Sudamerica, è sempre stata interessata a indagare i codici culturali o i cliché del proprio contesto di origine. Utilizzando spesso opulenti tableau tridimensionali, realizza opere che funzionano come spazi di aggregazione, caratterizzate da colori vibranti, che riflettono su temi come la rappresentazione culturale, l’identità nazionale, l’esotismo e l’emarginazione.
«Nel discorso postmoderno il riconoscimento dell’altro equivale troppo spesso a incrostare la sua immagine in un catalogo di differenze» scrive il critico d’arte francese Nicolas Bourriaud nel suo libro Il radicante. «La posta in gioco è colossale: si tratta di permettere la riscrittura della Storia ufficiale a profitto di racconti plurali, regolando d’altro canto un possibile dialogo fra queste differenti visioni della Storia».
Ed è a questa riscrittura che Calero pare invitarci, accogliendoci dentro uno spazio che si sottrae a schemi di lettura binari o gerarchici; uno spazio inedito che stimola una messa in questione potenzialmente infinita del modo di concepire l’identità culturale.
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