Christian Marclay The Clock 2010 Single-channel video installation Duration: 24 hours © Christian Marclay. Photo
Anche durante le vacanze invernali, Berlino non smette mai davvero di produrre e accogliere cultura. Dalle istituzioni storiche ai templi dell’arte contemporanea, il panorama espositivo della capitale tedesca si conferma sempre come estremamente interessante, tra opere video monumentali, installazioni immersive, e pittura contemporanea.
Da questo fertile humus culturale, abbiamo selezionato cinque mostre da non perdere durante le vacanze natalizie: cinque tappe diverse per linguaggi, temi e sensibilità , ma accomunate dalla capacità di interrogare il tempo — storico, personale e collettivo.
Recentemente insignito del Nasher Prize per la scultura contemporanea, l’artista kosovaro Petrit Halilaj è il protagonista di An Opera Out of Time, sua grande esposizione personale visitabile presso l’Hamburger Bahnhof di Berlino fino al 31 maggio 2026.
Al centro dell’esposizione vi è la versione museale di Syrigana, sua prima opera lirica, concepita come un dispositivo immersivo che intreccia mito, memoria collettiva e desiderio queer. Attorno a questo nucleo si sviluppa poi un ampio percorso che riunisce sculture e installazioni di diversi periodi della sua parabola artistica, il tutto tr fiori monumentali, insetti, uccelli migratori e animali simbolici.
L’universo poetico di Halilaj affonda le radici nella storia del Kosovo e nell’esperienza dell’esilio, rielaborando le ferite della guerra e della repressione culturale attraverso ambienti teatrali costruiti con materiali organici, oggetti trovati e riferimenti archeologici.
Dopo essere stata premiata nel 2011 con il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia, la monumentale opera video The Clock di Christian Marclay arriva per la prima volta a Berlino, alla Neue Nationalgalerie. L’opera consiste in un video della durata di 24 ore, composto da migliaia di frammenti tratti da film e serie televisive — dal cinema classico a quello contemporaneo — in cui compaiono orologi, riferimenti all’ora o situazioni legate allo scorrere del tempo, con ogni sequenza montata in modo da corrispondere esattamente all’orario reale. Questo fa sì che The Clock funzioni letteralmente come un orologio, trasformando il tempo cinematografico in tempo vissuto. Il cinema, tradizionalmente fondato sulla manipolazione della durata, sulla sospensione e sull’ellissi, viene qui ricondotto a una linearità implacabile, che coincide con quella della vita quotidiana.
Attraverso il montaggio, inoltre, Marclay costruisce una sorta di archivio collettivo della memoria cinematografica, in cui immagini celebri e frammenti marginali convivono sullo stesso piano, legati unicamente dal ritmo delle ore.
Allestita in una sala cinematografica appositamente progettata all’interno della Mies Glass Hall, The Clock si conferma in emma come una delle più radicali riflessioni artistiche sul tempo e sulla memoria visiva del nostro presente: un’esperienza da non perdere tra i tanti eventi di Berlino.
Con Magic Bullet —a cura di Lina Louisa Kraemer— l’artista britannica Issy Wood presenta la sua prima grande mostra personale in Germania, portando in scena una nuova serie di lavori concepiti in stretto dialogo con la complessa architettura dello Schinkel Pavillon.
Nata nel 1993, la Wood costruisce con i suoi dipinti un immaginario pittorico a dir poco seducente e disturbante, in bilico tra realismo e surrealismo, che il critico Barry Schwabsky ha definito “perverse realism”. I suoi lavori— realizzati su tela, ma anche su strumenti musicali o arredi rivestiti di velluto lucido — nascono da un’osservazione attenta degli oggetti di consumo, ma anche e soprattutto di quei meccanismi mentali che li caricano di desiderio, ansia e proiezione: in feticci, insomma.
Interessante è anche che la Wood mescoli fonti iper-contemporanee, come immagini raccolte con l’iPhone, a riferimenti anacronistici quali cataloghi d’asta, nature morte, fotogrammi di film dimenticati: il risultato è una pittura stratificata, in cui superfici e merci diventano surrogati visivi di paure e pulsioni difficili da nominare. In questo universo ambiguo, confessione e occultamento convivono, restituendo un ritratto lucido e inquieto della sensibilità generazionale contemporanea.
Tra le esposizioni da non perdere c’è senza dubbio anche Hero, mostra personale di Monira Al Qadiri, che prosegue qui la sua indagine critica sulle dimensioni socio-culturali, ambientali e geopolitiche dell’industria petrolifera. Al centro dell’esposizione —visitabile fino al 17 agosto 2026— c’è il petrolio, incarnato nella sagoma monumentale del tà nkere petrolifero, emblema di un sistema produttivo che ha alimentato il capitalismo globale ma ha lasciato un’eredità tossica negli oceani, nell’aria, e negli stessi corpi umani.
L’installazione site-specific qui presentata combina un grande murale in nero e rosso — che porta l’osservatore di fronte alla gigantesca sagoma di una nave — con sculture, oggetti e una nuova video-opera che documenta la demolizione di supertà nkere nei cantieri di demolizione del Bangladesh. Il colore rosso ricorrente rimanda ai biocidi tossici usati nelle vernici da nave, trasformandosi in un simbolo di contraddizione tra efficienza e distruzione, comfort e contaminazione.
Attraverso questi elementi, l’Al Qadiri non limita la sua pratica a una denuncia ambientale, ma interpreta l’olio come metafora delle strutture di potere, delle disuguaglianze globali e delle tracce profonde che la modernità lascia nei corpi e nei paesaggi.
Dopo un’immersione nella scena ultra contemporanea della capitale tedesca, concludiamo infine il nostro percorso con un salto indietro nel tempo, immergendoci nelle sale dell’Alte Nationalgaleri. Qui, fino al 15 febbraio del prossimo anno, è esposta in forma estesa una delle più importanti collezioni private tedesche: la Scharf Collection, che attraversa, grazie a circa 150 opere, oltre due secoli di storia dell’arte, da Goya all’arte contemporanea.
La collezione affonda le sue radici nella raccolta berlinese di Otto Gerstenberg, testimone della nascita della modernità , e si sviluppa attraverso le generazioni della famiglia Scharf, che hanno progressivamente ampliato e aggiornato il nucleo originario. Particolare rilievo è dato alla tradizione francese, così come a un raro insieme di stampe di Toulouse-Lautrec, perfettamente conservate, ma anche a capolavori di Monet, Renoir, Degas e Cézanne.
Negli ultimi decenni, sotto la guida di René e Christiane Scharf, la collezione si è inoltre aperta alle pratiche contemporanee, riflettendo sulle trasformazioni della pittura e sul dialogo tra figurazione e astrazione. Il risultato è un racconto stratificato, che mette in relazione continuità storiche, gusto collezionistico e sguardo sul presente.
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