Giovanni Kronenberg, Renata Fabbri Arte Contemporanea, Milano. Foto, Cosimo Filippini 2020
Non è frequente che un’opera, presentata all’interno della mostra personale di un artista contemporaneo, riesca a catalizzare su di sé l’energia dell’intera esposizione, tanto da costituire una sorta di punto di riferimento per gli sviluppi della ricerca del protagonista della mostra. È accaduto con la scultura Senza titolo (2020) di Giovanni Kronenberg, artista che frequenta i territori impervi di una scultura concepita in senso concettuale, abbinata ad una serie di disegni esposti nella sua ultima personale nella galleria di Renata Fabbri, accompagnata da un lucido testo critico di Davide Ferri.
Fogli abitati da forme sinuose e liquide, che si nutrono di un’ambiguità fantasmatica e irrisolta, definiti da Ferri “esercizi di reinvenzione della materia”, che evocano possibili relazioni con le opere tridimensionali. Si tratta di due parti di un blocco di agata “annuvolata” che sorreggono, in equilibro delicato e precario, il riccio di una castagna, appena appena compresso dal minerale per rimanere sospeso a mezz’aria. Ferri suggerisce una matrice poverista, che potremmo identificare con l’opera Respiro (1969) di Giovanni Anselmo, dove una spugna marina è posta in mezzo a due sbarre di ferro poggiate a terra. Paragone calzante, anche se il mondo di oggetti di Kronenberg sembra appartenere più all’universo delle wunderkammer rinascimentali, quelle “camere delle meraviglie” dove alcuni illuminati signori del Rinascimento (Rodolfo II d’Asburgo nel castello di Praga, Ludovico Gonzaga nel palazzo Ducale di Mantova, Federico Augusto di Polonia nel palazzo di Dresda) custodivano oggetti rari, divisi in naturalia (prodotti dalla natura) e artificialia (realizzati dall’uomo): un’ossessione per le mirabilia che trova oggi una nuova attualità nella wunderkammer contemporanea del collezionista tedesco Thomas Olbricht, ospitata nello spazio Me Collectors Room a Berlino. Come Kaspar Utz, protagonista del romanzo Utz (1989) di Bruce Chatwin, Kronenberg è posseduto dall’ossessione del collezionista, quella mania che lo ha portato a circondarsi di manufatti esotici, eccentrici e bizzarri, capaci di produrre meraviglia, che è la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di raro e inaspettato.
A differenza dell’Arte Povera, dove gli oggetti presenti nelle opere sono evocativi e rimandano ad altro, i minerali, le spugne o le corna hanno nella ricerca di Kronenberg un valore in quanto attivatori di una meraviglia che l’artista sollecita con interventi spesso minimi e delicati ma di grande efficacia, prodotti dall’incontro tra materiali incongrui , ma riuniti ricercando una nuova armonia tra loro , come farebbe un alchimista del Rinascimento. Le opere migliori, a mio avviso, sono quelle dove la relazione provocata è sottile e non troppo esplicita, come in Senza Titolo (2017) dove Kronenberg ha collocato un cristallo di rocca in una grande ametista, o Conversione empirica di un silenzio in alfabeto (2017), dove ha dipinto di blu cobalto una porzione di Rosa del Deserto . Un artificio minimo ma significativo, per dare vita ad oggetti che l’artista definisce “non consumati dagli sguardi”. E i disegni, allora, diventano “ipotesi di forme”, progetti dove Kronenberg misura le tensioni tra gli spazi e i colori, aggiungendo di recente porzioni di superfici a foglia d’oro, quasi a voler suggerire una dimensione intangibile che li apparenta alle icone bizantine, porte regali verso l’assoluto.
Ludovico Pratesi
Dal 10 febbraio al 28 marzo 2020
Giovanni Kronenberg | Renata Fabbri
via A. Stoppani 15/c, Milano
Orari: Martedì – Venerdì 15.30 / 19.30
Lunedì e sabato su appuntamento
Info: info@renatafabbri.it +39 02 91477 463
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