Roméo Mivekannin Black Mirror veduta di mostra / exhibition view Collezione Maramotti, Reggio Emilia © Roméo Mivekannin, by SIAE 2025 Courtesy of the artist and Galerie Cecile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Paris) Ph. Roberto Marossi
La mostra nella Collezione Maramotti è un viaggio attraverso l’arte e la sua storia, una rivisitazione di quadri classici, fotografie e di capolavori cinematografici. Un percorso che parte dalla Cappella Brancacci di Masaccio, da Caravaggio e arriva all’era contemporaneo della guerra in Kosovo, all’apartheid in Sud Africa, passando da Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini. Un racconto lungo 600 anni di Storia dell’Arte che Romeo Mivekannin (Bouaké, Costa d’Avorio,1986) intraprende per spezzare i confini, spaziali e temporali, e far riflettere lo spettatore sulla condizione precaria dell’uomo.
Nelle nere tele di velluto sopra cui Mivekannin ha dipinto le sue opere, l’autore si appropria delle celebri iconografie per abitarle e ricostruirle sostituendo il volto dei personaggi con il proprio autoritratto, ma non per peccare consapevolmente di hybris e sostituirsi al protagonista di alcune delle opere più famose al mondo, bensì per mettere in discussione il proprio “io” a livello formale ed esistenziale. Il passato, la sua eredità e i suoi spiriti, che costituiscono la Storia del mondo, si propagano nella contemporaneità mettendola in discussione e interrogandosi sul nostro passato. Il suo volto sembra emergere dalle profondità della notte, il suo sguardo penetrante scruta l’osservatore, ribaltando le logiche di costruzione della composizione, sovvertendo ruoli e dinamiche di potere, interne ed esterne e dando forma a uno spazio instabile, in costante trasformazione. Il suo sguardo potente e profondo cerca, implacabilmente, gli occhi dello spettatore per dialogare con esso non lasciandolo indifferente, come se lo spirito dell’autore e dell’osservatore si fondessero sforzandolo di guardare dentro sé stesso attraverso lo specchio nero (“Black Mirror”) delle tele di velluto e dai ritratti.
Questi lavori delineano l’esplorazione dell’artista sulla costruzione e la soppressione della memoria e delle immagini, sul rapporto individuale e collettivo con la storia e col sacro: le sue opere fluttuanti, senza cornice e senza telaio, caricate di presenze, dischiudono una mitopoiesi intima quanto universale, nutrita di visioni nascoste, sottoposte a effetti di apparizione, sparizione, cancellazione e lotte interiore.
La scelta di utilizzare come supporto delle tele di velluto, tecnica inedita per l’artista, viene scelta grazie all’incontro con un’opera di Julian Schnabel esposta alla Collezione Maramotti, vero scrigno dell’arte contemporanea, ma al tempo stesso suggella un rapporto intimo e profondo con l’arte barocca e con Caravaggio, fondamentale per l’autore. «Il mio primo viaggio in Italia è stato per vedere le opere di Caravaggio. La mia cultura si basa su una certa idea di trasmissione e di iscrizione nella storia umana e per me rendere omaggio a Caravaggio è anche un modo per continuare a tessere i legami della storia dell’arte», dichiara Mivekannin e questo suo rapporto speciale col Merisi è esplicitato non solo dalle riprese formali nelle sue tele, ma anche dalla citazioni di quattro sue opere che compongono il corpus più numeroso della mostra, seguito dalle tre tele tratte dai film neorealisti di Pasolini, un altro degli autori a cui Mivekannin si è fortemente ispirato.
Black Mirror è, quindi, l’occasione per il pubblico italiano di conoscere questo straordinario artista che ha già esposto in tutto il mondo tra cui nel nuovo Louvre – Lens nella cittadina del nord della Francia e in altri celebri musei e gallerie d’arte.
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