VIVONO. Arte e affetti, HIV e AIDS in Italia. 1982 - 1996. Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. 2025
La mostra VIVONO. Arte e affetti, HIV-AIDS in Italia. 1982-1996, a cura di Michele Bertolino, è un’immensa opera di stratificazione di temi, persone, eventi e documenti. La grande quantità di materiali e artisti presenti nel percorso espositivo dimostra la complessità di un argomento ancora oggi difficile, un’occasione per ripensare il nostro rapporto e approccio con la questione dell’HIV AIDS. Vivono, infatti, è la prima mostra istituzionale che «ricompone la storia di artiste e artisti italiani colpiti dalla crisi dell’HIV-AIDS». Il direttore Stefano Collicelli Cagol ne sottolinea l’unicità «per guardare al momento storico in cui si ambienta e capire, anche oggi, come l’educazione affettiva e la cultura della riduzione del danno siano temi che non devono passare inosservati».
«Le opere e i segnali di questa mostra – racconta il curatore a exibart – emergono in alcuni punti: devi osservare, come faresti per i sintomi di una malattia, forse, quello che hai intorno». Data l’enorme stratificazione, Bertolino ha inserito delle bacheche che possano guidare il visitatore alla scoperta di un periodo complesso, trattato per parole chiave. È così che si inizia a percepire lo scheletro della mostra: l’archivio, appunti e documenti sempre riconfigurabili, un insieme di studi aperti all’errore e all’aggiornamento, da cui emergono varie domande, tra cui: come si vivono l’amore e la gioia quando tutto intorno sembra scuro? La prima sensazione è quella di forte inquietudine: all’entrata del museo un’opera di Kristin Oppenheim, Shiver, ci porta nell’atmosfera di quegli anni. Questo sentimento si genera a partire dall’isolamento, dalla solitudine e dall’emarginazione: è ciò che molte persone sperimentano dopo la diagnosi. I ricordi, i programmi a lungo termine appaiono dei miraggi, forse non potranno più essere prodotti perché, improvvisamente e drasticamente, la prospettiva sulla vita e sulla morte cambia.
Il tempo, dopo la diagnosi, assume tutte le sue forme più contrastanti: tempo che scorre, tempo dell’attesa, tempo che si consuma, si esaurisce, tempo di qualità. È un’entità mozzata a causa della diagnosi, che porta a formulare domande sul prossimo futuro. C’è una sensazione di impossibilità, di fermo o, al contrario, di impermanenza nella costruzione della memoria: creare nuovi ricordi diventa difficile quando il presente sembra esser giunto alla sua conclusione. Francesco Torrini è l’artista di una delle tre sale monografiche che si fa portavoce di questa urgenza: la memoria deve diventare materia “viva”, deve far parlare il ricordo personale; Torrini, crea una traccia del compagno Franco, scomparso per complicazioni dovute all’AIDS, attraverso l’assimilazione del suo nome nella firma delle opere. È un’azione riuscita, che sottrae la persona amata all’oblio. In altri casi, si tenta di misurare l’inesorabile scorrere del tempo, o di tenere traccia di ogni secondo, fotografando la schiuma del mare, come nelle opere di Roberto Caspani.
Anche il corpo è luogo di memoria, legato all’amore, all’affetto e al desiderio. Nelle tre sale monografiche il corpo è diviso, spezzato, alla ricerca di un collante che riunisca in modo inaspettato e vitale i suoi frammenti a cui sia Torrini che Patrizia Vicinelli fanno riferimento. Il corpo è, inoltre, uno strumento politico, testimoniato nei disegni e le fotografie scarabocchiate di Asdrubale, autoritratti in cui immagine e linguaggio raccontano il suo corpo messo in scena per le strade di Roma. Il corpo assume una dimensione precaria: Bruno Zanichelli lo mostra nelle sue tele come cubo minimalista in balia del mare, ferito. La precarietà, nelle sue opere, è legata al tempo, che è contato, dato che l’artista soffriva del morbo di Hodgkin, un tumore del sistema linfatico. Un corpo precario e in lotta è anche un corpo ferito: Wild diplomacy di GOTSCHO mostra un salvagente trafitto da un coltello che richiama il dolore e la ferita provocata dai conflitti, un commento alla violenza delle guerre e dei movimenti migratori. Quando si scompone, il corpo diventa un “exemplum vitae”; ritorna l’opera di Torrini che divide il corpo in pezzi con cui crea degli ex-voto: occhi, labbra, mani, cuore per controllare il mondo esterno ed essere visti, in frammenti, ma infiammati.
In mezzo a questa scomposizione di corpi e relazioni ciò che manca nella quotidianità e di cui si sente la necessità è il sostegno dei gesti e della parola. Già grazie alla video-installazione Vivono di Roberto Ortu, si è potuto constatare la forza della parola che fa rivivere, attraverso la poesia, il lavoro di poeti che hanno vissuto con HIV. Le poesie descrivono gli anni della crisi HIV-AIDS in Italia, ma raccontano anche di momenti generativi, la possibilità di stare insieme in modo diverso. La poesia è l’elemento portante della pratica di Patrizia Vicinelli. Siamo accolti all’interno di un piccolo spazio che si ripiega su se stesso: la rievocazione di un armadio aperto. Il linguaggio per Vicinelli è arte visiva e la poesia è uno strumento irregolare che guarda senza compromessi la realtà, che porta le parole verso la rottura, mostrando la loro fragilità, esattamente come i corpi, come le persone che, anche attraverso una ricerca di definizione, non arrivano mai a una loro consapevolezza definitiva. Tutto è frammento, ma il tutto risulta sempre più della somma delle sue parti.
La domanda, posta all’interno della stessa mostra, si ispira all’opera di Gea Casolaro, Amore un’insidia si annida, che riflette sulle difficoltà dell’amore ai tempi dell’HIV-AIDS. Amore, passione, desiderio, affetto sono inscindibili dall’azione politica e dalla storia collettiva. L’affetto ha un valore politico, dimostrato dai gruppi di auto-mutuo aiuto, quasi delle famiglie temporanee; il desiderio ribadisce l’importanza del sesso e del rapporto fisico, della possibilità di sviluppare nuovi modi di stare insieme. Le bacheche raccontano di una pratica che deve rimanere un incontro cosmico dotato di potere, come in Cosmic Power di Felix Gonzalez Torres. La monografica di Nino Gennaro ci porta nel luogo in cui la cura e l’affetto sono di “casa”, la propria abitazione, dove i sentimenti legati alla sicurezza e al riconoscimento portano attimi di gioia. Artista e attivista, Gennaro si barcamena tra la possibilità di una “gioiattiva”, come recita il titolo della sua poesia visiva, e la lotta incessante che contrappone la violenza umana e il pregiudizio alla casa come luogo di condivisione e spazio di collettività, come mostrato nell’opera Tra le righe.
Dall’iniziale inquietudine, si passa alla consapevolezza di una rete di protezione e condivisione, in un allestimento che porta lentamente a un crescendo, al centro della mostra, che si esaurisce andando verso la sua conclusione. Ci sono presenze che resistono, che si prendono cura l’una dell’altra, creando una nuova comunità immaginata. Nelle opere di Lanfranco Baldi, Guardiano delle ombre e Ombre della sera, animali strambi diventano piccoli protettori, immagini della memoria, conservando il ricordo e proteggendo il sonno. Non a caso, a conclusione di questo percorso, ci accoglie e ci saluta l’opera di Luis Frangella: un disegno realizzato quando l’artista era ricoverato in ospedale; un sole che sorride che riporta a una visione ingenua e fanciullesca della realtà, uno sguardo ripulito dall’isolamento e dal pregiudizio, con cui realizzare un atto di resistenza intriso di speranza e felicità.
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