Giulio Turcato, Oltre lo spettro, 1971 olio, tecnica mista su tela; 120 x 160 cm
Ci sono tutti gli anni Sessanta e buona parte dei Settanta del Novecento nelle tele di Giulio Turcato (Mantova, 1912 – Roma, 1995), tra i massimi esponenti dell’astrattismo italiano, raccolte dalla Fondazione Giuliani per l’omonima mostra “Turcato“, in cui ad emergere è principalmente l’utilizzo che l’artista ha fatto dello spettro cromatico come mezzo d’indagine e di ricerca.
Nel ’77 va in onda in Italia la prima trasmissione a colori. Sono ancora poco definiti, un po’ sgranati, così come doveva appariva sugli schermi in bianco e nero la superficie lunare conquistata qualche anno prima, nel 1969, dalla missione Apollo 11. I filmati, nella loro difficile sincronizzazione, ricordano il monoscopio, la banda colorata che annunciava le interruzioni dei programmi e che destava una certa attesa nei telespettatori.
La rivoluzione del mezzo, un rettangolo luminoso da cui emergono nuovi stimoli culturali ed input visivi, incide quasi certamente sul lavoro di ricerca di Turcato, come appare dalle tele esposte in mostra, simili a grandi schermi da cui scaturiscono un’infinità di colori.
Allo stesso modo hanno inciso in altre fasi del suo lavoro le trasformazioni sociali e politiche, gli anni della partecipazione alla resistenza e della ricostruzione del dopoguerra. È, infatti, verso la fine degli anni Quaranta che l’artista fonda FORMA 1 insieme ad altre importanti voci del panorama italiano, avvicinandosi così ad un linguaggio astratto e, per certi versi, visivamente essenziale.
È nella scelta del monocromo che Turcato legittima la connessione fra elementi macro (come l’esplorazione dello spazio attraverso la scelta di pennellate ampie e gradazioni sature) e micro (come i particolari che ricordano la superfice sabbiosa di altri pianeti, ne è un esempio Superficie lunare, 1968). Lo sguardo si posa sulla particella più piccola compresa nel tutto, sul rosso intenso, sul blu profondo, sul bianco sporco e difforme, sul giallo totalizzante: un’assuefazione visiva, un’immersione nel colore che sembra implodere ed esplodere allo stesso tempo. Proprio come l’universo, che alcune teorie descrivono in espansione o in contrazione. Lo vediamo con alcune opere esposte (tutte in olio e tecnica mista su tela e su cartone intelato), come In giallo (1979), In blu (1979), Emblematico rosso, (1983) e Cangiante giallo (1986).
L’unità del colore è interrotta da nuovi codici visivi, da varie discromie e dalla scelta di posizionare pennellate più accese in talune sezioni delle tele. Le discromie, perciò, risultano intenzionali, i contrasti in parte sottili o più accentuati, mentre le variazioni tonali finiscono per spezzare l’omogeneità precedente. Una scelta non casuale, che genera un ritmo visivo dinamico, in tensione compositiva, e una sofisticata stratificazione cromatica e di linguaggio.
Turcato rivela spesso, attraverso i suoi lavori, di protendere lo sguardo verso parti di dimensioni spaziali e temporali che oltrepassano il tangibile. Ciò che è visibile, infatti, non è la completezza dell’oggetto osservato e della sua materia, ma la ricerca di un senso più ampio, collaterale agli stimoli che emergono dall’interazione tra il soggetto osservante e la materia stessa. Tutto ciò affiora pienamente nell’opera Marino (1972), una delle tele più grandi e immersive, che restituisce la capacità di Turcato di rappresentare la trasformazione di ciò che ci circonda, tra cui l’universo stesso, e di come tutto ciò si traduca infine in segno, in cui converge lo sguardo totalizzante del pittore.
Il monocromo, perciò, è il terreno di infinite possibilità interpretative, una scelta radicale attraverso cui l’artista abbraccia volontariamente alcuni elementi primari, come la materia e la superficie, capaci entrambe di restituire, come ne La porta (1974) e Giallo pelle (1961), una concezione universale e rinnovata della conoscenza, che non si limita al visibile ma che entra in un campo emotivo accelerato, intimo ed esclusivo.
È in questa riduzione del linguaggio visivo che il colore si fa spazio di attivazione tra l’opera e l’osservatore, liberandosi da ogni funzione descrittiva e accessoria.
La mostra dedicata a Giulio Turcato sarà visitabile alla Fondazione Giuliani di Roma fino al 31 gennaio 2026.
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