«Eterni. I segni di un morso discreto ci segnano». Così inizia una delle cinque poesie che animano la mostra di Pedro Neves Marques Nello spazio è sempre notte alla home gallery Umberto d Marino, che dialoga idealmente con un’altra esposizione dell’artista portoghese, a Palazzo Falconi di Fermo, Che cos’è l’intelligenza naturale?. Sembrerebbero, questi componimenti poetici, l’evoluzione dei messaggi in bottiglia o forse, in un futuro più imminente di quanto pensiamo, la trasposizione dei pensieri di un essere ultraumano, eterno, che è stato segnato dal morso della liberazione.
Già nell’ultima Biennale d’arte di Venezia, Pedro Neves Marques aveva rappresentato il padiglione portoghese con l’installazione narrativa Vampires in Space, in cui ha affrontato temi facenti parte della sua ricerca, quali l’identità di genere, la famiglia non nucleare e la riproduzione. Nell’esposizione napoletana, questi concetti vengono ripresi, in attesa del loro evolversi, sottoforma di tracce di un viaggio, come custodite in una capsula del tempo, testimonianza di una nuova generazione che l’artista chiama vampiri.
Queste figure notturne, leggendariamente legate alla sfera più inconscia e misteriosa dell’essere, sono solitamente i protagonisti di film horror, genere noto per aver ampliato, in tutte le sue sfumature, i lati nascosti e più pericolosi dell’umano. Nel tempo, infatti, è cambiata la loro immagine, dai celebri personaggi oscuri della letteratura e della cinematografia, fino alle rappresentazioni più recenti che li vedono sotto una luce dalle sembianze simboliche sempre più in sintonia con le ombre dell’animo umano.
Anche la casa ha perso la sua flebile stabilità per diventare astronave, un mezzo di trasporto potente capace di volare nello spazio, un luogo senza limiti fisici terrestri, ma sospeso tra innumerevoli incognite dalla natura a noi ancora per lo più sconosciuta. Torna alla mente il celebre finale leopardiano, «E il naufragar m’è dolce in questo mare», vedendo le immagini fotografiche esposte nelle sale della galleria Di Marino, in cui decadono tutti gli elementi tipici dell’immaginario fantastico e sopraggiungono, similmente a un ritrarsi in uno specchio, le fisionomie di persone intente nella visione di un pianeta, dell’infinito o immerse nella propria solitudine.
E tra le cornici dai motivi stilizzati arabo gotici, che fanno pensare all’uso bidimensionale della monumentalità – legata soprattutto ai diversi tipi di sepoltura delle antiche civiltà ma anche alla nostra attuale, seppur ridimensionata – riecheggia la voglia e la necessità di liberarsi dalle consuetudini, per transitare in un genere non definito.
«Abbiamo tutto il tempo per avvolgere i ricordi in un passato che porteremo fino alle stelle», continua un’altra strofa del componimento, proprio a volerci segnalare l’abbandono a una dimensione senza gravità, lontana da quella che conosciamo, in cui rimbomba l’oscillazione senza tregua di un tempo che arriverà, a cui diremo Addio con un respiro.
Il concetto di immortalità, di ultraterreno, rientra nell’ esercizio retrospettivo fantascientifico ancorato all’esperienza trans non binaria di Pedro Neves Marques che, a sua volta, si collega ai recenti studi della sociologia della morte applicata alle tecnologie e a una una critica politica alla storia del controllo sui corpi e sul desiderio.
Sembra un messaggio di speranza, quello composto dell’artista, che riesce con essenziali elementi a percuotere le coscienze, a immaginare con visioni a noi già familiari, scenari dell’altrove. Prendendoci per mano, ci porta in una finzione poi non così fantascientifica, prima rivelandola con gli occhi e poi facendola sussurrare con la poesia.
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