3- Oriente Plazzi Marzotto âSexsomniaâ, 2023, tecnica mista su tela, cm 60 x 100_ courtesy Gilda Lavia ph Giorgio Benni
Il percorso espositivo allâinterno della Galleria Gilda Lavia propone le opere di tre giovani artisti che riflettono sul tema del sonno e della connessa dimensione del sogno, della quale vengono indagati, secondo diverse declinazioni, i complessi, spesso insondabili processi legati al manifestarsi della sfera dellâinconscio.
Anche a seguito dei paradigmatici studi di psicanalisi di Sigmund Freud che nel 1899 pubblica Lâinterpretazione dei sogni, il tema del sogno ha costituito motivo di interesse in diversi movimenti artistici e letterari come, tra gli altri, il Surrealismo (1924), e continua ancora oggi a rappresentare un campo di indagine per le ricerche contemporanee rispetto al quale è possibile ancora proporre nuove e originali interpretazioni.
Lâidea di questa mostra nasce dallâistallazione di Oriente Plazzi Marzotto, Câè chi veglia e câè chi può dormire (2023). Tre polisonnografie stampate su carta, occupando per intero le pareti di una sala, rappresentano lo studio di alcuni pazienti affetti da disturbi del sonno. Assieme al tracciato dellâattivitĂ cerebrale, sul supporto cartaceo è impressa una frase del Macbeth shakespeariano tradotta nel linguaggio dei segni e leggibile solo attraverso lâattivazione di una luce Uvb:
ÂŤNon dormirai piuĚ! Macbeth scanna il sonno â il sonno innocente, il sonno che dipana la matassa imbrogliata dellâansia, la morte dâogni giorno di vita, il bagno dellâamara fatica, il balsamo degli animi feriti, la seconda portata della grande natura, il nutrimento primo nella festa della vitaÂť William Shakespeare, Macbeth, Atto II.
Lâatmosfera psichedelica dellâistallazione, resa anche attraverso uno specifico sistema di illuminazione, conduce lo spettatore in uno spazio surreale, del tutto confacente alla sfera del sonno, dove risuona lâemissione di frasi disarticolate o parole pronunciate con enfasi anomala dagli stessi pazienti.
Janneke Leenders si inserisce nella linea tematica della mostra proponendo You are not die you are just sleeping, proiezione di un video allâinterno di uno schermo nel quale lâartista sta dormendo accanto a un fantoccio realizzato in stoffa. Lo schermo è riverso, ad una certa altezza, in direzione del pavimento in maniera tale che sia osservabile solo stendendosi in terra in posizione sottostante. La ricerca di Janneke Leenders allude efficacemente alla cesura, spesso molto labile, tra realtĂ e finzione, nel momento in cui il video trasmette unâimmagine concreta ma pur sempre restituente lâidea di una persona che non è cosciente.
Nel percorso incontriamo poi Dissolved (2023) teli di cotone sui quali Janneke Leenders ha dormito lasciando il segno di ciò che accade durante il sonno attraverso lâuso di olio da pittura. Le tracce che il corpo ha lasciato impresse sulla stoffa corrispondono a tratti leggeri, astrattizzanti, indecifrabili nei loro sviluppi e raccontano, attraverso segni dinamici, lâevolversi dello stato dâincoscienza. Lâopera si pone come unâentitĂ atta a conservare la âmemoriaâ di unâattivitĂ fisica compiuta involontariamente dal corpo mentre è in atto il meccanismo del sonno, ma diventa anche segno tangibile di una condizione intangibile, astratta, interiore, afferente alla sfera dellâinconscio la cui attivazione è massimamente sollecitata nellâambito del sogno.
Francesco Andreozzi declina, invece, il tema proponendo rappresentazioni tratte direttamente dalla dimensione onirica nel tentativo di farci immergere in quellâuniverso incongruo, irreale, irrazionale proprio della condizione del sogno. La sottrazione dellâelemento della luce è comune ai diversi lavori, dove tutto appare riemergere faticosamente da una condizione di profondo quanto inquietante buio evocato attraverso un fondo blu notte. In Nel mio sogno (2023) si appalesa un volto femminile dai tratti assai sfumati, che dâimprovviso e in maniera illogica si illumina grazie allâinaspettato emblema di un cuore che, poggiato su di un occhio, rende nitido il dettaglio del volto.
La figura favolistica de Il re (2023) parimenti si appalesa in maniera inquietante in un atteggiamento pensoso, scevro dalla dimensione celebrativa o trionfalistica che solitamente si addice ad un sovrano, ora prigioniero di un profondo âbuioâ interiore.
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