Installation view, Richard Ayodeji Ikhide: Incroci del Passato (Crossroads of the Past), Victoria Miro Venice, San Marco 1994,30124 Venice, Italy 1 November–13 December 2025 © Richard Ayodeji Ikhide Courtesy the artist and Victoria Miro
C’è una forma di fedeltà al passato nei dipinti di Richard Ayodeji Ikhide che non ha nulla di nostalgico: è una fedeltà operativa, una sorta di metodo di lavoro. Nelle sue nuove opere —realizzate con tempera ad uovo e ora esposte nella sede veneziana di Victoria Miro Gallery — questi riferimenti a tempi lontani si intrecciano senza gerarchie: gli spiriti della tradizione yoruba dialogano con quelli dei maestri italiani del Rinascimento, da cui Ikhide ha assorbito gesti, immaginari e una particolare sacralità del segno.
I lavori in questione —sviluppati durante una residenza a Venezia organizzata dalla stessa galleria— rappresentano un nuovo snodo nella sua ricerca. Per la prima volta, infatti, l’artista nigeriano sceglie una tecnica antica, lenta e disciplinata, che lo avvicina proprio a quei pittori che osserva nei musei italiani. Ma in Ikhide questa attenzione per la storia dell’arte convive sempre con un immaginario che non è mai solo storico: le sue figure hanno la densità degli avatar, una fisicità sospesa che sfiora il fantascientifico, come se la tradizione stessa generasse i propri futuri possibili.
Non è solo la tecnica, però, a omaggiare i maestri del Rinascimento italiano: la stessa iconografia che guida il gesto preciso di Ikhide affonda le proprie radici nelle rappresentazioni cristiane di questo periodo. Ne è un esempio Blessing, presentato all’ingresso della galleria: un lavoro ispirato al quattrocentesco Cristo benedicente di Carlo Crivelli. Se la posizione rimane la medesima, la figura di Ikhide è però sicuramente più simile ad un avatar ancestrale che al Cristo della tradizione occidentale.
Anche il suo Patri —una rappresentazione suo generi di San Girolamo— vede la figura del santo trasformarsi in un artista-sciamano, immerso in una natura dai colori saturi. Un dipinto, questo, che trova la sua controparte femminile in una reinterpretazione della Maddalena penitente protagonista di Matri, qui affiancata da sculture yoruba che agiscono come presenze-guida.
In questo orizzonte si inserisce anche Carry Forth, in cui un giovane, rappresentato di schiena, cammina portando con sé una costellazione di maschere yoruba. È un’immagine che suggerisce il peso — e la forza — del passato che accompagna ogni movimento verso il futuro. Ikhide stesso ha dichiarato di aver guardato alle teorie di Joseph Campbell, in particolare al suo archetipo dell’eroe: la figura che intraprende un viaggio trasformativo attraversando soglie, prove, incontri con mentori e spiriti. Campbell, inoltre, individua nelle mitologie globali narrazioni che si ripetono con minime variazioni; e questo principio di connessione attraverso gli archetipi è sorprendentemente vicino al sincretismo che struttura tutti i lavori di Ikhide. Nei suoi lucenti pannelli, infatti, la genealogia non è mai lineare: è un intreccio di fonti, un luogo in cui nessuna tradizione domina e nessuna scompare.
Questo sistema di attraversamenti dà senso anche al titolo della mostra, Incroci del Passato, che non allude solo al confronto con la pittura italiana o con la spiritualità yoruba, ma anche alle passioni più intime dell’artista: Ikhide cita spesso i manga giapponesi come una delle matrici visive della sua formazione. La loro estetica — fatta di metamorfosi, ibridi, figure liminali — riaffiora qui come un ulteriore strato, una geologia iconografica che tiene insieme culture, tempi e immaginari diversi.
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