Categorie: Musei

Il Grand Egyptian Museum e il battito di Giza: un museo che genera futuro

di - 24 Dicembre 2025

All’alba, sul plateau di Giza, la luce non irrompe ma si dispiega con una lentezza deliberata, come se il paesaggio volesse concederle il tempo necessario per decifrare ogni spigolo, ogni piano, ogni porzione di vuoto, e in questa sospensione luminosa il Grand Egyptian Museum emerge come un corpo che non pretende di essere osservato ma di essere riconosciuto, quasi affiorasse da una continuità geologica più che da un gesto architettonico, perché le sue superfici triangolate, i suoi volumi inclinati, la sua massa calibrata non cercano mai un confronto diretto con le Piramidi ma si inseriscono in una loro proiezione naturale, come se il museo si limitasse a completare un ragionamento iniziato migliaia di anni fa.

Il progetto dello studio irlandese Heneghan Peng Architects, scelto tra oltre millecinquecento proposte internazionali, interpreta il contesto non come vincolo ma come matrice, da cui ricava una grammatica architettonica fatta di pannelli lapidei modulari in calcare di Tura, vetrate arretrate a triplo strato, schermature integrate che modulano la luce senza mai interromperla, producendo un involucro che assorbe il calore, dilata gli intervalli cromatici e dialoga con l’irraggiamento del deserto secondo un ritmo quasi respirato.

GEM Birdseye View – Copyright Grand Egyptian Museum

Con una superficie complessiva di quasi mezzo milione di metri quadrati, ventiquattro gallerie principali, ottantamila metri quadrati di depositi climatizzati, un atrio alto quarantacinque metri e un impianto strutturale basato su campate in calcestruzzo ad alte prestazioni, il GEM si configura come una macchina museale dalla complessità ingegneristica straordinaria, in cui ogni spazio diventa una camera climatica autonoma, con sistemi HVAC a pressione differenziale che mantengono l’umidità tra il quarantacinque e il cinquantacinque per cento, pavimentazioni antivibrazione pensate per reperti estremamente fragili, illuminazione LED a spettro controllato che si muove tra i settanta e i centocinquanta lux, superfici museografiche a bassa riflettanza che restituiscono una visione quasi tattile degli oggetti.

L’atrio è dominato dalla presenza del colosso di Ramses II, una figura che non viene mai trattata come emblema trionfale ma come dispositivo spaziale che orienta i flussi e definisce la scala dell’esperienza, mentre le gallerie dedicano grande attenzione alla relazione tra materiali e funzioni, evitando gerarchie estetiche e restituendo ai reperti di Tutankhamun, più di cinquemila pezzi finalmente ricomposti in un percorso unitario, una leggibilità che è prima filologica e solo poi spettacolare, perché ciò che conta non è il valore iconico degli oggetti ma la loro capacità di raccontare una civiltà attraverso la logica dei gesti che l’hanno prodotta.

GEM Glass Pyramid – Copyright Grand Egyptian Museum

In questo sistema distributivo si innesta la Grand Staircase, una rampa ascensionale che sale per oltre trenta metri allineandosi geometricamente alla Piramide di Cheope e che richiama, nella sua struttura in calcestruzzo fibrorinforzato e nella gradualità della luce, le antiche rampe utilizzate durante la costruzione dei complessi funerari e poi percorse da sacerdoti e familiari nel rito di accompagnamento del faraone verso la luce solare, e così la salita non diventa mai un semplice spostamento verticale ma un movimento di rivelazione, un passaggio progettato come sequenza di svelamenti in cui la densità scultorea si alleggerisce, la luminosità cresce, il campo visivo si amplia, fino a trasformare l’architettura in un dispositivo narrativo che mette in scena la scoperta stessa come processo.

Accanto al percorso pubblico si sviluppa il GEM Conservation Center, oltre trentaduemila metri quadrati di laboratori dedicati alla conservazione, tra i più avanzati al mondo, con scanner 3D submillimetrici, diagnostica multispettrale, camere climatiche, depositi stabilizzati tra i diciotto e i venti gradi, una rete impiantistica indipendente e un protocollo scientifico che permette di trattare materiali estremamente sensibili, trasformando il museo in un campus di ricerca che è essenziale quanto le sale espositive.

Grand Egyptian Museum – Copyright Grand Egyptian Museum

La gestione operativa dell’intero complesso è affidata a Legacy Development and Management, che introduce un modello amministrativo ibrido fondato su manutenzione predittiva, sicurezza multilivello, governance dei flussi, supervisione impiantistica e ottimizzazione dell’esperienza del visitatore, una novità assoluta nel panorama museale egiziano, come ricorda con lucidità Dina Abou El Fetouh, Public Relations Manager di Legacy, quando afferma che è la prima volta che un ente privato lavora fianco a fianco con una struttura governativa di questa portata, una constatazione che definisce la dimensione sistemica del cambiamento.

Il suo racconto si fa ancora più significativo quando descrive il coinvolgimento della comunità locale nelle fasi preparatorie, spiegando che operatori, famiglie e residenti di Giza sono stati coinvolti nelle esercitazioni di afflusso, trasformando un test tecnico in un gesto identitario che ha permesso, per la prima volta, agli egiziani di vivere in anteprima il museo che racconta le loro radici, un ribaltamento culturale che restituisce centralità alla comunità come primo interlocutore dell’istituzione.

Il rapporto tra museo e territorio è oggi reso ancora più diretto dal ponte pedonale sopraelevato, già operativo, che collega il GEM alla Piana delle Piramidi attraverso una struttura in acciaio e calcestruzzo che scavalca le arterie stradali con un gesto lineare e silenzioso e che funziona come un corridoio museale all’aperto, trasformando la distanza tra architettura contemporanea e sito archeologico in un unico distretto culturale permeabile, continuamente attraversabile, aperto a una nuova forma di percezione topografica.

Statue of Queen Hatshepsut- Copyright of GEM

Attorno a questa infrastruttura sta prendendo forma un ecosistema urbano in rapida trasformazione, fatto di nuovi hotel, strutture ricettive, spazi pedonali, servizi culturali, aree attrezzate per eventi e programmi temporanei, che mirano a trasformare Giza in un luogo di permanenza e non più di semplice transito, un territorio in cui la visita non si esaurisce nel museo ma si dilata in un’esperienza più ampia che intreccia archeologia, ospitalità e vita urbana.

Parallelamente cresce un fenomeno culturale inatteso, alimentato dal tam tam mediatico e da un uso sapiente dei social che stanno ridefinendo la percezione internazionale dell’area, perché il GEM sta diventando anche un epicentro contemporaneo capace di attrarre mostre di arte site-specific, sfilate di moda di grandi maison, performance audiovisive, festival di musica elettronica e techno che portano a Giza una comunità cosmopolita fatta di artisti, designer, curatori, dj, creative director, influencer e celebrità, fino a generare quella formula provocatoria ma sempre più condivisa in rete secondo cui “Giza is the new Ibiza”, una frase che non descrive un’analogia superficiale ma un fenomeno culturale in divenire, dove la monumentalità antica diventa lo sfondo di un nuovo modo di abitare il presente.

In questa convergenza tra ingegneria e racconto, tra architettura e urbanità, tra eredità e possibilità, il Grand Egyptian Museum si rivela non come un monumento, ma come un motore, non come un santuario del passato, ma come un dispositivo capace di generare futuro, un luogo in cui l’Egitto non viene soltanto spiegato, ma continuamente ricompreso, perché il museo non racconta ciò che l’Egitto è stato, mostra ciò che l’Egitto può ancora diventare.

Grand Egyptian Museum – Copyright Grand Egyptian Museum

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