Turbine Hall, Tate Modern, © Rikard Osterlund
Grandi musei richiedono grandi risorse e, nella costante ricerca di un equilibrio economico, nemmeno gli spazi più iconici possono considerarsi al riparo da trasformazioni. La Tate Modern ha recentemente annunciato una ambiziosa ma controversa iniziativa di fundraising: il Tate Future Fund, un fondo di dotazione da 150 milioni di sterline da raccogliere entro il 2030, una cifra che potrebbe garantire la sopravvivenza del museo nel lungo periodo e anche un rafforzamento della sua posizione di leadership nel panorama globale dell’arte contemporanea. Tra le opzioni a disposizione, la possibilità – finora mai confermata ufficialmente ma apertamente discussa – di vendere i diritti di denominazione della Turbine Hall, l’ala monumentale e più riconoscibile dell’importante museo londinese. A suggerire per primo questa possibilità è stato Roland Rudd, presidente del consiglio di amministrazione della Tate, in un’intervista al Telegraph. Il prezzo? Almeno 50 milioni di sterline.
Dal 2000, la Turbine Hall è il palcoscenico della Turbine Hall Commission – che in realtà già da qualche anno si chiama Hyundai Commission, a seguito di un cambio di main sponsor – una delle commissioni più ambite al mondo per gli artisti contemporanei. In questo spazio, che ricorda la storia industriale dell’ex centrale elettrica alimentata a olio combustibile riconvertita dallo studio di archistar Herzog & de Meuron, si sono misurati artisti come Olafur Eliasson, Ai Weiwei, Doris Salcedo e Kara Walker, con installazioni immersive che hanno ridefinito l’idea stessa di mostra museale, scrivendo pagine indelebili dell’arte contemporanea. Quest’autunno, sarà l’artista sámi Máret Ánne Sara a confrontarsi con la scala titanica della Hall, portando al centro la questione dell’arte indigena e del rapporto tra uomo e natura.
Proprio perché simbolo di una nuova museografia e di un’apertura radicale al contemporaneo, l’eventualità che la Tate Modern possa aprire alla possibilità che la Turbine Hall cambi nome, ha destato attenzione. Un portavoce della Tate ha per ora ridimensionato la notizia, parlando di una ipotesi all’interno di una campagna appena avviata. Eppure, le dichiarazioni di Rudd sono inequivocabili: «Se qualcuno volesse dare il proprio nome alla Turbine Hall, potrebbe essere una grande opportunità». Rudd ha anche suggerito che le opportunità di denominazione potrebbero estendersi a posizioni di curatela e di direzione.
L’annuncio del Tate Future Fund è arrivato lo scorso 25 giugno 2025, durante una serata di gala organizzata proprio nella Turbine Hall per celebrare i 25 anni della Tate Modern. L’evento ha visto la partecipazione di 680 artisti, filantropi e sostenitori provenienti da tutto il mondo, con esibizioni dei Pet Shop Boys e dell’attrice Gwendoline Christie, una cena firmata River Café e una mise en table disegnata da Tracey Emin e Peter Saville.
Tra gli artisti presenti, veri e propri pilastri dell’arte britannica e internazionale: Marina Abramovic, Grayson Perry, Gilbert & George, Antony Gormley, Cornelia Parker, Steve McQueen, Bridget Riley, Jenny Saville, Lubaina Himid, Yinka Shonibare, Sonia Boyce, Jeremy Deller e John Akomfrah, solo per citarne alcuni.
Durante la serata, Rudd ha annunciato che il fondo ha già raccolto 43 milioni di sterline, grazie alla generosità di privati, fondazioni e membri del board, come Bloomberg Philanthropies, The Manton Foundation, James Bartos, Jack Kirkland e Roland e Sophie Rudd. Il gala, da solo, ha raccolto più di un milione di sterline a sostegno diretto delle attività artistiche e didattiche della Tate.
Secondo la direttrice Maria Balshaw, «Queste donazioni permettono alla Tate di continuare a plasmare una storia dell’arte globale e di garantire l’accesso a opere emozionanti a un pubblico sempre più vasto». Un obiettivo ribadito anche da Karin Hindsbo, direttrice della Tate Modern: «Questo fondo garantirà la nostra ambizione non solo per i prossimi 25 anni, ma per il prossimo secolo».
L’eventualità che la Turbine Hall della Tate Modern cambi nome in cambio di una sponsorizzazione di alto profilo pone una questione delicata: fino a che punto è legittimo “monetizzare” l’identità di uno spazio museale per garantire la sua continuità? E dove si colloca il limite tra sostegno filantropico e brandizzazione culturale?
Negli scorsi anni, la Tate ha già dovuto confrontarsi con una delicata questione legata al naming: nel 2022 ha annunciato la rimozione del nome dei Sackler dai suoi due musei londinesi, Tate Modern e Tate Britain, in seguito alle crescenti pressioni legate al coinvolgimento della famiglia nella crisi degli oppioidi negli Stati Uniti.
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