Museo Olmedo
A Città del Messico, il Museo Dolores Olmedo, che custodisce una delle più importanti collezioni al mondo di opere di Frida Kahlo e Diego Rivera, ha annunciato la sua riapertura nel 2026, dopo sei anni di chiusura dovuta alla pandemia. La notizia, accolta con sollievo ma anche con scetticismo, arriva dopo anni di incertezza e polemiche attorno alla gestione dell’istituzione e al destino della sua collezione.
Fondato nel 1994 da Dolores Olmedo Patiño (1908 – 2002), imprenditrice, filantropa e figura centrale nella cultura messicana del Novecento, il museo ha sede nell’antica hacienda La Noria a Xochimilco, a sud di Città del Messico, in un complesso cinquecentesco circondato da giardini, cani di razza xoloitzcuintle e altari per il Día de Muertos. Ma più che per il suo fascino bucolico, La Noria è celebre per ciò che custodisce: oltre 140 opere di Rivera e 25 di Kahlo, molte delle quali ricevute direttamente dagli artisti, oltre a quasi 6mila reperti preispanici, parte della collezione Olmedo.
Sin dalla fondazione del Museo, Olmedo fu chiara: l’arte doveva rimanere al popolo messicano e nella sua sede originaria. Eppure, nel 2021, emerse l’ipotesi di trasferire la collezione nel nuovo parco culturale di Parque Aztlán a Chapultepec, nel cuore di Città del Messico. Un investimento da 30 milioni di dollari, presentato come un’estensione temporanea del museo ma che in molti hanno letto come un tentativo di centralizzare il patrimonio artistico, in netto contrasto con lo spirito di diffusione della missione originale.
A complicare il quadro, modifiche “irregolari” ai documenti del trust voluto da Olmedo, modifiche che, secondo un gruppo di esperti, avrebbero escluso il popolo messicano dai beneficiari ufficiali del museo e spostato fondi e controllo amministrativo verso soggetti privati.
L’annuncio della riapertura parla di «Quattro anni di restauri, ricerca e catalogazione», ma nessuna garanzia è stata fornita sulla piena ricollocazione della collezione a La Noria al termine di questo periodo. E mentre il Museum of Fine Arts di Houston si prepara a ospitare parte della collezione per la mostra Frida: The Making of an Icon, che poi passerà anche alla Tate Modern di Londra, si continua a promettere una prossima apertura del Museo Olmedo presso la sua nuova sede.
Nel frattempo, la risposta della comunità non si è fatta attendere. Il 6 luglio, cittadini di Xochimilco hanno protestato davanti all’hacienda: «Aquí lo dejó» («Qui lo ha lasciato»), si leggeva sui cartelli. Il messaggio è chiaro: il museo è parte integrante del territorio e non un contenitore smontabile a piacimento.
A unirsi alle voci critiche, anche più di 90 intellettuali e artisti, tra cui Hilda Trujillo Soto, già direttrice di Casa Azul e Anahuacalli, la nota giornalista culturale Adriana Malvido e Bolfy Cottom, insigne studioso dell’INAH – Instituto Nacional de Antropología e Historia, che hanno firmato una lettera indirizzata al Ministero della Cultura per denunciare il rischio di frammentazione della collezione e violazione del testamento di Olmedo.
A oggi, il museo insiste sul carattere “temporaneo” della chiusura e nega ogni accusa, definendo infondati i contenuti della lettera aperta. Ma il nodo centrale resta: quale sarà la vera sede e la futura identità del Museo Dolores Olmedo? Il caso rappresenta un banco di prova per la tutela delle volontà dei grandi mecenati e per il ruolo delle istituzioni pubbliche nel garantirne il rispetto. Come scriveva la stessa Dolores Olmedo nel 1994: «Questo patrimonio è inalienabile. Appartiene al popolo messicano. Non potrà mai essere smantellato né estinto».
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