Claude Debussy
Ovunque, fuori dal mondo è la titolazione, inconsuetamente dedicata a un concerto, dello spettacolo organizzato dall’Associazione Scarlatti presso il Teatro Sannazaro a Napoli, il 23 gennaio scorso, nell’ambito della sua stagione concertistica 2019 – 2020. Un evento che si è distinto dai soliti concerti di musica da camera, sia per la lettura di brevi testi di Claude Debussy e Marcel Proust – su ascolto e creazione musicale – recitati con grande partecipazione da Maddalena Crippa, prima dell’esecuzione di tre struggenti creazioni dello stesso Debussy, fra le sue ultime, che per il supporto di note di sala molto accurate, di Federico Capitoni, che hanno collocato la descrizione dei brani nel contesto storico della loro creazione durante la Prima guerra mondiale.
«L’evento bellico lo sconvolge, non riesce a comporre con facilità , vorrebbe forse combattere ma non sente di poterlo fare a più di cinquanta anni…e sta per morire. Ma alla guerra vi si partecipa sempre, in qualche modo, anche se non si è soldati. Così pensa che sia invece necessario scrivere e concepisce due progetti che lo possano far cimentare con la possibilità di inserire la sua arte peculiare in una forma consacrata». E ancora: «Il “quasi classico” di Debussy può leggersi pure al futuro, nel senso che oggi questo lavoro è totalmente un classico anche in quanto gravido di conseguenze».
La lettura di un brano di Monsieur Croche antidilettante, il testo in cui il musicista affida la propria voce a una sorta di alter ego, prima della Sonata per violoncello e pianoforte in re minore L 144 del 1915 (Matteo Fossi piano, Erica Piccotti violoncello), ci ha riportato alla temperie vivace e polemica della cultura del primo Novecento, nella quale la forza dirompente e prorompente degli ingegni europei aveva come campo di battaglia la modernità , la sperimentazione e la rottura della continuità con le culture nazionali e, per Debussy, la lotta alla riproposizione passiva degli stereotipi della cultura musicale germanica, dove per lo più domina «Quella tedesca affettazione di profondità » per una nuova visione non certo per una supremazia politico imperialistica.
Una visione nella quale «La musica è una somma di forze sparse e se ne fa invece una canzone speculativa! Preferisco le poche note del flauto di un pastore egizio; collabora al paesaggio e sente delle armonie che i vostri trattati ignorano. I musicisti ascoltano soltanto la musica scritta da abili mani; mai quella che è iscritta nella natura». E poi, «Si scrive troppo, si fa musica per la carta, mentre la musica è fatta per l’orecchio!».
La recitazione di due brani di Proust dalla Ricerca del tempo perduto, la celebre descrizione della sonata di Vinteuil, come memoria dell’amore perduto di Swann per Odette, e la narrazione della magia dei suoni della città al risveglio nelle quali esprime la sua visione di una musica che riesce a esprimere l’indicibile e l’ineffabile, il presente e la memoria del passato ha preceduto la Sonata per flauto, viola e arpa in fa maggiore L145 del 1915 (Simonide Braconi viola, Alessia Luise arpa, Mario Ancelotti flauto) e della Sonata per violino e pianoforte in sol minore L148 del1917 (Matteo Fossi piano, Ekaterina Valilulina violino) e in un fuori programma, la lettura di un testo/ ricordo di Paul Hindemith che ha preceduto l’esecuzione dell’ultimo suo frammento per pianoforte e che racconta quando, a ridosso del fronte, avevano sospeso l’esecuzione dedicata al loro capitano di un quartetto di Debussy alla notizia della sua morte.
Così, se il succedersi dei tre diversi organismi strumentali con prestazioni di alta levatura, ha dischiuso suggestive varietà di sonorità , inusuali in un solo concerto da camera, i richiami letterari, di critica musicale e storici hanno spalancato un’infinità di riflessioni e proiezioni riconnesse al sentimento di turbamento suscitato in questi giorni dalla rievocazione degli orrori di un’altra guerra.
Il concerto non si è posto volutamente nell’ambito delle celebrazioni della Giornata della memoria – tra i vari eventi in programma, ricordiamo l’omaggio del Museo Novecento di Firenze, con Fabio Mauri – ma, di fatto, ha aperto uno squarcio sull’impotenza della cultura e della civilizzazione nella dicotomia con l’indomabile pulsione aggressiva e guerresca che negli ultimi secoli di apparente modernità continua implacabile a risultare vincente rendendo ancora più cogente la necessità di tener vivo il ricordo degli orrori recenti.
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