Benevento ospita il siciliano
Renzo Meschis (Palermo, 1945) con una mostra
che propone una cinquantina di opere, caratterizzate da una certa giocosità e
allegria. Si tratta di un “secondo” Meschis, distante dalle iconografie della
sua terra, dove per anni aveva raccontato case, campagne, mondi ancestrali e
contadini, mediante una pittura dai tratti realistici e mimetici.
Avendo avuto, in quegli anni, come punto di riferimento
Guttuso, dal quale ha ricavato la sua
poetica pittorica, Meschis successivamente abbandona le immagini realistiche,
spingendosi nel campo di una sperimentazione durata un biennio. Si confronta
allora con artisti che vanno da
Picasso alla Pop Art, prova l’astrazione, l’informale, il
dripping, creando un linguaggio irreale e discontinuo per gli stili ma
omogeneo.
I lavori in mostra sono stati realizzati durante gli anni
di ricerca 2008-2009; in questa fase -attraverso un nuovo linguaggio fantastico
– Meschis realizza paesaggi e rivisita i grandi maestri dell’arte, dal
Rinascimento europeo ai giorni nostri, inserendoli in un’atmosfera briosa e immaginaria,
quasi a rappresentare mondi onirici infantili.
Meschis è affascinato dalla contaminazione ma è legato
all’essenziale: in tutti i suoi lavori si sofferma poco sui particolari, il
colore diventa minimale ed espediente dei suoi artifici, insieme alla forza di
una luce avvolgente su tutta la tela. Nascono così grandi tele fantastiche,
composte da elementi, citazioni o accostamenti all’arte del Novecento,
riconoscibili e riconducibili alle diverse epoche storiche di appartenenza.
Renzo Meschis reinterpreta quasi tutti gli artisti
mediante l’artificio irreale. Nella maggior parte delle tele, le protagoniste
sono donne dai tondi seni scoperti e dai larghi fianchi: sembrano dunque
riconoscibili la sua vita, i suoi amori e le sue passioni, sedimentate nell’io
profondo e inevitabilmente emerse nelle sue reinterpretazioni.
Pertanto, la
solenne
Venere di
Botticelli rinasce in un’atmosfera da cartone animato; tre donne dai vestiti colorati, in
un prato semplicemente verde e senza nessun tipo di particolare, sembrano
rievocare le danzatrici di
Matisse. Lo stesso discorso vale per la rilettura di
Le déjeuneur
sur l’herbe di
Manet, che diventa un’insolita
colazione, realizzata con colori vivaci e ampie pennellate.
Le opere dei grandi artisti entrano in un mondo fantastico.
Esiste però l’attualità e la storia dell’artista, riconoscibile in quelle tele
dove s’incontrano verità e fantasie, sottolineando dunque la precarietà del
nostro mondo.
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Tolta la luce,che non c'è,ed i colori brillanti,che non ci sono ed aggiungiamo i contenuti di ripetute immagini che fanno rivoltare dalla tomba i loro autori,mi chiedo cosa ci sia da ammirare:
.......Ma questo autore non è stato per caso incoraggiato da un DOTTORE ad intraprendere questa strada,che merita attenzione e rispetto,come tutti i mestieri del mondo?
Siccome sono un docente diin discipline artistiche,mi chiedo cosa posso mai insegnare ai miei allievi dopo queste deprimenti visioni?
Non converrebbe allo stato chiudere queste scuole piuttosto che mettere in ridicolo i loro insegnanti?
L'arte si legge guardandola dal vivo e non osservando delle immagini.