Scene affollate e ritratti multipli. Questi i soggetti di Lisa Ruyter (Washington, 1968), caratterizzati da un costante anonimato, nei volti quanto nei luoghi. In mostra le opere della serie Crowd Scenes, nate dalla fusione tra scatto fotografico e realizzazione pittorica, secondo un procedimento che dissimula il medium meccanico per lasciar spazio al sapere della mano. L’immagine fotografica viene proiettata su tela sottoforma di diapositiva. L’artista ne traccia i contorni come se fosse alle prese con un disegno preparatorio, su uno sfondo monocromatico. Infine la stesura pittorica, che invade gli spazi delimitati dal tratto nero. Si crea così una tensione tra il negativo e positivo dell’immagine, dove il gesto del riempire colorando assume una dimensione quasi infantile, giocosa. A caricarsi di valore sono particolari selezionati dall’artista, evidenziati da campiture cromatiche dal tono acido, mentre le striature del colore di fondo simulano ombreggiature tutte artificiali. Il risultato è di chiara derivazione pop, tanto nella scelta delle tinte quanto nell’assoluta bidimensionalità dell’immagine. Ma l’intento seriale non si traduce in opere identiche, lasciando ampio spazio ad una rielaborazione soggettiva del dato reale. Una sorta di ribaltamento del noema barthesiano, dall’ “è stato” al “ciò che è stato per me”. Ne è esempio l’opera raffigurante una donna che stringe a sé il proprio bambino: i volti di entrambi ci sono negati, così come nelle numerose riprese di spalle che fanno da tratto distintivo dell’artista. Ma tutta l’attenzione è attirata dalle mani, logicamente sproporzionate, poeticamente metafora della protezione materna. La scelta dei dettagli e dei colori si rivela assolutamente arbitraria e, pertanto, intimamente soggettiva, ben lontana dalla poetica di Warhol, incentrata sulla ripetizione meccanica e sullo svuotamento di senso dell’immagine mediatica.
Ai ritratti singoli di Ruyter fanno eco le vere crowd scenes, dove protagonista diviene la folla, animata da comparse sconosciute. La rappresentazione di soggetti voltati di spalle indica la volontà di integrare lo spettatore stesso nella moltitudine raffigurata, invitandolo a prendere parte all’evento. Allo stesso tempo chi guarda è respinto dall’acidità dei viola, verde e arancio che dominano incontrastati la scena e concorrono a creare una sensazione di immobile artificiosità, in netta opposizione con l’accentuata gestualità dei personaggi. Un episodio reale, testimoniato dalla ripresa fotografica, si trasforma così in evento fumettistico, con un chiaro riferimento a Roy Lichtenstein, non a caso altro padre della Pop americana. Compiacimento del risultato estetico o allusione al problema identitario? Sembrerebbe che a prevalere sia proprio il primo. Con immagini accattivanti che conquistano lo spettatore senza costringerlo a troppe domande.
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www.lisaruyter.com
alessandra troncone
mostra visitata il 2 marzo 2007
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