Prima retrospettiva per il duo Vedovamazzei (Stella Scala, 1964, Napoli e Simeone Crispino, 1962, Frattaminore, Napoli) dopo oltre quindici anni di collaborazione, per la maggior parte trascorsi a Milano. “Ma una città come Napoli non si abbandona, semmai la butti via o fai finta che sia scomparsa”. Questo dicono di lei i suoi figli, per i quali si sono aperte le porte del tempio dell’arte contemporanea partenopeo, il Museo Madre, che sta trovando una sua fisionomia nello sciorinamento di mostre di grandi nomi del panorama artistico internazionale dagli anni Sessanta ad oggi. Intelligentemente accompagnata da un agevole quaderno-catalogo con le caratteristiche grafiche della stampa free-press, la mostra presenta un’impostazione didattica ineccepibile, con esaurienti didascalie che accompagnano le opere, dal linguaggio chiaro e comprensibile. Meno riuscito l’allestimento che risente, irrigidendosi, dell’ambientazione museale. L’eco delle riuscite installazioni site specific alla GAM di Torino del 2005 o nel Caveau del Palazzo delle Papesse a Siena del 2003, è assente. Le opere si allineano ordinatamente nelle piccole sale del pian terreno dell’edificio concludendo l’iter nella grande sala auditorium ricavata al di sotto del cortile. Ma se l’organizzazione spaziale della mostra passa in secondo piano, sono le opere a parlare, con argomenti davvero interessanti.
La poesia intima di un rapporto amoroso ormai dissoltosi è presente nelle Maschere del 1992, in cui la struttura che incornicia i due volti in cartone di Simeone e Stella pesa quanto la somma dei loro corpi. Ma anche in Californian Notebooks del 2004, un diario per immagini su 71 quaderni, tenuto in un periodo di allontanamento della coppia o, ancora, nel passo di tango leggero e mobile compiuto dal tavolo e dalle due sedie dell’opera Milonga, del 2005.
In Dadadandy – The Guerrilla Show, opera del 2006, la shopping addiction, anche in campo artistico, viene ironicamente presentata mediante un guzzantesco video promozionale del sito dadadandy.com , sul quale vengono vendute opere d’arte in cofanetto griffato, dedicate direttamente dagli artisti ai singoli collezionisti.
La caducità dell’opera d’arte contemporanea è sottolineata dall’apparentemente casuale rottura di due quadri, opere degli artisti, dovuta ad uno spostamento poco attento di una scala in acciaio da edilizia in Trailer painting (2006).
Il percorso della mostra si conclude con Milioni di morti fanno meno male di una zampa ferita (2006), titolo ripreso dalla frase graffiata sulle poltrone di un salotto, sulle quali si immagina sprofondato a guardare la televisione un padrone che si duole dei danni arrecati alla mobilia dagli artigli del suo gatto, incurante delle tragedie trasmesse dai bollettini di guerra dei telegiornali.
Questa non è più la classica ironia di Vedovamazzei. È puro cinismo. Come una lente di ingrandimento che i due artisti appongono sulla realtà per mostrarne volutamente gli aspetti meritevoli di sdegno.
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giovanna procaccini
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che noia questi due! mi sembrano i giochi della settimana enigmistica... non esageriamo con i superlativi...
Questo articolo è inutilmente e insensatamente "ditirambico". L'allestimento della mostra è pessimo (sembra di stare in una biennale del terzo mondo!), i tanto decantati "pannelli esplicativi" fanno ridere (sembrano scritti da un editorialista di "Riza psicosomatica" di Raffaele Morelli!), sono didascalici e senza alcuna analisi critica (ridotta a psicologia spicciola e superficiale, da salotto!).
Per il resto, il duo vedovamazzei si conferma... sopravvalutato!