C’è aria di tempesta nei Cityscapes di Christian Leperino (Napoli, 1979). Protagonisti dei nuovi lavori del giovane artista non sono più i volti sfigurati di Sur-faces, ma paesaggi desolati su cui aleggia un profondo senso di inquietudine. Il risultato rimane pressappoco lo stesso, con un repertorio che si rinnova esteriormente ma non muta nei contenuti. L’aria è opprimente, soffocata dai fumi delle discariche. Gli schizzi delle bombolette spray, insieme a quelli pittorici, evocano la presenza di piogge acide, che non lasciano spazio alla figura umana. La Napoli di Leperino, riconoscibile a tratti grazie alla presenza del Vesuvio, è la Napoli Est trasposta in uno scenario post-atomico. Ed è una Napoli malata, le cui fattezze sono cancellate da un’incombente e palpabile nuvola grigia. “Mi sono ispirato ad alcune atmosfere nordiche”, dice Leperino, “e soprattutto ai dipinti di Turner. Ma dai miei quadri è andato via il colore”. L’artista, che gioca a fare il giovane maudit sulla scena napoletana, stavolta ha scelto il paesaggio per raccontare il disagio dell’uomo, soluzione che piace (e vende) nonostante il tono angoscioso e tormentato.
Ma non solo. In mostra sono presenti anche due sculture in alluminio, che ben si inseriscono nell’atmosfera generale. La prima, come una maschera teatrale, è deformata da un urlo immobile, che avviene proprio di fronte ai Cityscapes. L’altra, invece, mostra una piccola figura che piange su un cavallo disteso, anch’esso sofferente. In entrambi i casi la classicità è chiamata in causa per poi essere trasfigurata, riadattata in un contesto che non rappresenta il passato, tuttalpiù lo rimpiange. È così per il paesaggio, un genere che affonda le radici nella storia dell’arte si tinge di una tragicità tutta contemporanea, sfociando talvolta in un’esasperata espressività.
Ed è così anche per il ritratto: i tre piccoli volti della serie Il perturbante, di chiara ispirazione freudiana, rinnegano il loro essere individui per sublimarsi visivamente in un malessere diffuso. Il formato è ridotto, l’artista è costretto a stendere il colore con i polpastrelli, instaurando con l’opera un rapporto fisico. E la matericità, con intense colate di pittura, emerge anche nell’ultima opera in mostra, Metallo urlante, il cui titolo si rifà all’antologia-romanzo di Valerio Evangelisti. Il metallo è macchina, l’urlo è umano. Nell’estetica cyborg non è chiaro ciò che si ha davanti, se un uomo robotizzato o una macchina antropomorfa. A fare da sfondo a questa figura ambigua e minacciosamente profetica un altro paesaggio scuro, indefinito, estrema sintesi della compenetrazione luogo-individuo. Dal tono futuristico e insieme misterioso. Con le macerie che si stagliano ai piedi del cupo condottiero, emblema di un avvenire sempre meno rassicurante.
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io non posso credere come qualcuno possa ancora far esporre in una galleria professionale un artista tanto imbarazzante, un minimo di selezione, o ci troveremo Leperino ad insegnare in qualche accademia.