La prima opera di Enrico Castellani ottenuta per introflessione ed estroflessione della tela (posizionando, cioè, chiodi su una particolare struttura dietro il telaio) è stata Superficie nera, del 1959. Da allora e dal nero, simbolo dell’assenza totale di colore, la ricerca dell’artista ha conservato in modo uniforme e coerente il suo fine: l’esaltazione del movimento della superficie e non del segno, benché si sia confrontato anche con varianti policromatiche (si ricordano Superficie gialla, del 1970, Superficie rossa del 1990 e Superficie blu, del 2004). Ora, però, negli spazi della Galleria Rumma, Castellani propone nove opere tutte bianchissime.
Su questi candidi dipinti ad acrilico, tanto somiglianti a colline innevate, attraverso pieni e vuoti, le superfici si muovono ritmicamente, in sintonia con le ombre. Ed è proprio il movimento il protagonista assoluto della mostra, tanto che il purismo cromatico diviene il mezzo ideale per esaltarlo. Il movimento è generato dall’ombra che si sposta a seconda della disposizione dei chiodi, celati dietro la tela. Ne derivano vibrazioni percettive. L’osservatore sperimenta una dimensione elettrica e fibrillante, in linea con la teoresi dello stile optical.
Il morbido moto viene generato non solo dal gioco luce-ombra ma anche dal continuo dialogo quadrato-rombo. Il confronto ottico delle due figure, infatti, genera una torsione, una spinta concentrica. L’icona fondamentale di questo moto geometrico è Superficie bianca del 1999, l’unica, tra le opere esposte, a non essere stata realizzata nel 2006. Questa consiste nella disposizione intorno ad un vuoto di quattro tele quadrate, sulle quali, per estroflessione, è raffigurato un rombo.
In sostanza i quattro quadrati danno l’idea di un moto concentrico che si concretizza nella figura del rombo.
In questo coro di bianchi è da sottolineare, infine, l’acuto di un quadrato e di un rombo beige disposti al centro di due tele. Le figure beige sono ottenute non dipingendo di bianco le due tele, quindi l’unico colore deriva dalla scelta di non colorare. In questo senso il bianco, forse, può essere letto come il colore dell’appagamento dell’Io.
luigi rondinella
mostra visitata il 13 giugno 2006
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