Per la prima volta la Galleria Alfonso Artiaco propone al pubblico partenopeo una mostra collettiva di giovani artisti attivi a Milano, tutti ex-allievi dell’Accademia di Brera: Annamaria Martena, Davide Minuti, Yoko
Miura, il gruppo M.G.M. (Chinnici-Matteucci-Mariani).
Una corda che da un buco nel soffitto pende all’interno dello spazio della Galleria genera ‘tensione’ nell’ambiente. Essa determina un insolito collegamento psicologico tra la superficie grigia del pavimento e quella bianca del soffitto, cancellando la mediazione delle pareti, verso cui l’osservatore è naturalmente portato a volgere prima il proprio sguardo.
Il visitatore si trova, così, coinvolto ad osservare la connessione pavimento-corda-soffitto, prescindendo assolutamente dalle pareti, che pure sono bianche come il soffitto. La tensione psicologica è materializzata
dall¹artista in una miriade di minuscole figure che, pur se solo vagamente conservano fattezze antropomorfe, rappresentano in maniera convincente una coralità di azioni e pulsioni umane, che proprio dalla presenza della corda sembrano prendere le mosse. Le piccole figure appaiono comunicare tutte tra loro, affrettandosi ed aiutandosi a salire (o scendere?) dalla corda.
Annamaria Martena propone uno degli oggetti più tipici della nostra realtà quotidiana: lo specchietto retrovisore delle automobili. All’osservatore abituato a vederlo soltanto applicato ai due lati dei veicoli, isolato e
posto su di una parete bianca, esso appare inizialmente come qualcosa d¹incomprensibile e d’inutile. Non appena, però, ci si accorge che al posto dello specchio esso ospita uno schermo da cui è trasmesso una registrazione-video di Milano ripresa da una telecamera posta proprio su uno specchietto retrovisore, ecco che l¹immagine e la funzione appaiono improvvisamente evidenti.
specchietto retrovisore. Costituiscono cioè il vero ‘punto di vista’ dell’oggetto.
Sul telaio classico delle tele pittoriche Davide Minuti fa aderire una tela completamente ricoperta di PVC (vinile) bianco lucido. L’idea e la forma del classico “quadro” contrasta con l’apparenza volutamente moderna del
rivestimento e con l¹intenzionale impersonalità e antiesteticità delle strisce colorate in PVC adesivo. I due lavori presentati in mostra si prestano ad essere osservati con la stessa superficialità con cui si
guardano spenti in una casa due degli strumenti più diffusi della cultura di massa contemporanea, il televisore o il monitor di un computer. Se sono
quasi ignorati quando non sono accesi, ogni individuo è cosciente che le immagini che da essi scaturiscono sono il prodotto di, e a loro volta producono, una quantità incredibile di azioni umane.
due ‘quadri’ delineano infatti proprio uno schermo, ed il titolo loading dei due lavori vuole alludere proprio al momento in cui in un computer o in un video si sta caricando un nuovo programma. Il fatto che questo schermo
rimanga sempre bianco, però, suggerisce l’idea di una trasmissione che non avverrà mai: un ‘programma potenziale’. La scelta dei colori, poi, così come
quella dei materiali è determinata da un altro fenomeno di massa della cultura contemporanea, la moda. Essi sono sempre attentamente vagliati tra i colori più alla moda del periodo in cui i lavori sono realizzati, e, le
strisce colorate, lungi dal riferirsi alla Minimal Art, sono piuttosto da riferirsi a quelle insignificanti eppure molto espressive degli indumenti sportivi: sono proprio le strisce di colore diverso a farci scegliere tra un
indumento od un altro realizzati entrambi in serie.
Il video dal titolo Koroshiya, realizzato dal gruppo ormai scolto M.G.M., intende raccontare una breve storia: la vita a Milano dell’artista giapponese Yoko Miura. Il fatto di vedere rappresentata nello schermo uno degli artisti presenti in mostra, conferisce veridicità al racconto, che
appare all’osservatore come un documentario.
inaspettatamente, la storia vera sfocia chiaramente nella finzione, quando Yoko Miura confessa di fare l’assassina come secondo lavoro. L’ennesima, ma paradossale, confessione si tramuta, così, in un gioco con le aspettative dell¹osservatore, che da quel momento in poi non sa più a quale altro particolare credere di ciò che vede e sente, perché documentarismo e fiction si scambiano costantemente i ruoli. Una scena per tutte appare il fulcro
attorno al quale è stata elaborato tutto il video: quei pochi istanti in cui Yoko Miura punta la pistola verso la telecamera. E’ in quel momento che L’aspetto di grande dolcezza dell’artista più contrasta con la violenza
della sua azione verso l’osservatore.
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