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fino al 6.V.2011 | Shozo Shimamoto | A volo radente | Napoli, Fondazione Morra

di - 3 Maggio 2011
La vicenda artistica di Shozo Shimamoto (1923, Okusai; vive e lavora a Nishinomiya) sembra fare di lui l’alter-ego di un anti-eroe della letteratura contemporanea, quell’artista del mondo effimero disegnato dalla penna dello scrittore anglo-giapponese Katzuo Ishiguro.

Nello stesso momento in cui Masuji Ono, che aveva consacrato la sua arte al regime e, dopo la caduta dell’ultimo imperatore, si scopre a disagio con i propri alibi e col proprio passato, inciampando nelle parole che raccontano un Giappone sconfitto e parimenti incuriosito dall’ovest, Shimamoto, invece, aderisce con entusiasmo alle esperienze del gruppo Gutai, diventando successivamente esponente di punta della mail art e partecipando, l’anno che Ishiguro dava alle stampe il suo romanzo (1986), alla Peace Run attraverso l’Europa, organizzata dall’American Indian Group.

Internazionale Shimamoto; voce di un Giappone non galvanizzato dal nuovo, né irretito da esso. Lo mostra bene la sua particolare procedura creativa, nata da una rilettura della shodō, la millenaria arte della scrittura giapponese, convertendo il segno calligrafico in puro colore, svincolandolo da qualsiasi rigidità di significato per lasciare che liberamente si posi sulla tela bianca, esplodendo o piuttosto scivolando languidamente su di essa, a cercare il colore che lo ha preceduto o preparandosi a ricevere il successivo. E come l’azione del pennello converte in segni i gesti del calligrafo che, decisi o incerti, veloci o lenti, sottili o spessi, contengono sempre l’ energia vitale del suo progenitore, così le opere dell’artista di Okusai rimandano alla creazione, al mistero della vita. Dominanti risultano essere, non a caso, i colori primari: tutto è ridotto alla gamma generatrice, la quale, in alcuni casi, conserva frammenti del grembo vitreo che la conteneva.

Nel segno che diventa prolungamento, all’esterno, dell’interiorità d’artista, l’arte di Shimamoto mostra affinità con l’ action painting americana, in particolare con l’esperienza di Tobey –come non scorgere nella sensibilissima calligrafia delle Scritture Bianche del ’55 un legame con l’arte dell’estremo Oriente!–, ma diverso è l’intento che guida il gesto: non più espressione di dolori che affondano nel mare delle memorie smarrite, esso si fa impulso, invita all’agire.

Questi i tratti salienti delle “scudisciate cromatiche” del maestro di Okusai, palesati dalla retrospettiva ospitata negli eleganti spazi della Fondazione Morra – e progettata in collaborazione con l’associazione Shozo Shimamoto e l’archivio Pari&Dispari  – dopo aver abitato, in gennaio, i suggestivi ambienti della basilica di S. Stefano a Bologna. Un allestimento pensato come un’anamnesi, riservando all’ultima sala gli  Ana (=Buchi), sperimentazioni targate anni ’40-’50, dove la lacerazione di memoria ‘burriana’, viene ottenuta per sfregamento. Le lacerazioni ottenute vincendo le resistenze della materia con la cocciutaggine di un gesto che s’interrompe solo una volta raggiunto lo scopo, sono vicine alla pratica gestuale dell’informale, e tuttavia la svuotano di tutto il suo angoscioso esistenzialismo per celebrare, ancora una volta, l’energia. Che sia questo l’ elisir di lunga vita?

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dal 12 aprile al 6 maggio 2011

Shozo Shimamoto – A volo radente

a cura di Achielle Bonito Oliva

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