A Milano, negli spazi della galleria, Glenda Cinquegrana Art Consulting inaugura oggi, 18 maggio, la collettiva “A Fresh Look at Africa”, a cura di Glenda Cinquegrana, con opere di Esther Mahlangu (1935, Middleburg, Sudafrica), John Goba (1944, Mattru Jong, Sierra Leone – 2019, Freetown, Sierra Leone) e Seydou Keïta (1921, Bamako, Mali -2001, Parigi).
Il titolo, “A Fresh Look at Africa”, ha spiegato la galleria, «include volutamente il termine “fresh” come traduzione non letterale di friche, che in francese è sinonimo di freschezza, terreno incolto e abbandonato: la parola fa riferimento alla nuova prospettiva sull’arte africana suggerita dall’antropologo Jean-Loup Amselle nel saggio L’Arte Africana Contemporanea (2007). Per Amselle l’Africa è un continente friche, la cui arte può avere un effetto di rigenerante della cultura dell’ormai Vecchio Continente».
«La scelta di tre artisti storici dell’arte africana è fatta secondo uno sguardo “fresh-friche”: essa rispecchia un tentativo di rilettura delle ricerche alla luce di uno sguardo che vorrebbe essere “contemporaneo”, influenzato da una nuova percezione dell’Africa, non più alla luce di una banale ottica terzomondista e post-coloniale, ma dove essa è vista come un continente autonomo produttore di cultura artistica; infine alla luce di forme di consapevolezza sull’importanza di adottare una prospettiva più inclusiva nei confronti del femminile», ha proseguito la galleria.
La mostra sarà visitabile fino al primo ottobre 2021, dal martedì al sabato dalle 15.00 alle 19.00, su appuntamento.
«La mostra è nata da un viaggio in Africa, continente affascinante e oggi pieno di una fortissima energia creativa. A seguito del viaggio, mi sono messa a studiare l’arte africana, ho trovato che se l’arte dell’ultimo ventennio è piena di contenuti politici e sociali, quella africana storica, affondando le sue radici nella cultura tribale e nei suoi miti religiosi, è carica di una grande potenza immaginifica, e di uno sguardo sulla realtà capace di mischiare l’ingenuo e il meraviglioso. Mi sono dedicata agli artisti contenuti nella collezione Jean Pigozzi – una delle più grandi collezioni d’arte africana al mondo – e a quelli che sono arrivati in Europa all’interno di una prima ondata di interesse per l’arte africana chemalla fine deli anni Ottanta, è stata esposta per la prima volta nella mostra “Magiciens de La Terre”, storica esposizione curata da Jean-Hubert Martin al Centre Georges Pompidou. I tre artisti inclusi in “A Fresh Look at Africa” sono accomunati dall’essere parte di quella nouvelle vague dell’arte africana che, dopo la mostra “Magiciens de La Terre”, è entrata nelle più importanti rassegne internazionali dedicate al tema realizzate nei maggiori musei nel mondo.
Fra i tre artisti esposti, nelle ricerche di Esther Mahlangu e John Goba, il legame con le tradizioni culturali e religiose tribali è molto forte, dove questo patrimonio culturale è trasmesso nelle tribù per via femminile. Accanto ai primi due, in mostra è incluso uno dei massimi fotografi africani, Seydou Keïta, le cui immagini integrano la visione sul magico con uno sguardo fotografico di valore altamente documentario. Il Fresh Look contenuto nel titolo che possiamo porre su questi artisti si riconduce a una versione recente data all’arte africana dall’antropologo Jean-Loup Amselle, in cui la freschezza di prospettiva è concepita in funzione rigenerante della cultura della Vecchia Europa. Infine, oggi si può guardare a queste ricerche con uno sguardo volto a mettere in evidenza l’importanza del femminile nelle culture tribali, che sottintende a questi lavori».
«La mostra si inserisce in una programmazione che vuole mischiare liberamente i linguaggi del contemporaneo con quello del moderno, in un’ottica di reciproche contaminazioni e riferimenti incrociati che abbiamo inaugurato in galleria con la mostra “Emblema, Francolino e Scodro”. Già in questa mostra abbiamo raccolto tre artisti, uno storico e due contemporanei, sotto il tema dell’ecosostenibilità, della sensibilità per il territorio e l’uso di materiali locali. Vorremmo caratterizzare la nostra identità di galleria con un programma espositivo caratterizzato da una vocazione “cross-over”, di contaminazione continua fra generi epoche che scaturisce dalla natura specifica dello spazio espositivo, che è suddiviso in due parti, una integralmente contemporanea, e una dotata di caratteristiche storiche proprie dell’edificio degli anni Venti del Novecento. La nostra visione è anche quella, dopo anni di focus sulle fiere, dare molta più cura e peso all’attività espositiva in galleria: in questo momento storico postpandemico, è importante che le gallerie recuperino il loro ruolo culturale».
«L’attività della galleria è in quindici anni cambiata molto, per adattarsi ai tempi, alle esigenze degli spazi. L’attività originaria, nata nel novembre del 2006 legata allo spazio espositivo The Studio, era legata alla giovane arte ed è stata contraddistinta da una matrice culturale e curatoriale molto forte, segnata da alcuni progetti per loro natura poco commerciali, come quello legato alla corrente della “institutional critique” di David Goldenberg, che ha ricevuto anche un finanziamento dell’Arts Council of England. Dopo il progetto “The Grass Grows” realizzato a Basel durante Art Basel, la galleria ha dato molto peso alla ricerca sulla fotografia. L’apertura di questa nuova sede di Porta Venezia riprende l’idea della prospettiva interdisciplinare – mischiare generi diversi come pittura, scultura e fotografia – e lavorare su un ponte culturale che unisca l’arte storica a quella contemporanea».
«Negli ultimi tre anni, ben prima della pandemia, avevamo cominciato a sviluppare progetti digitali accanto a quelli fisici. Sperando di superare presto l’incertezza dovuta alle riaperture e di poter tornare una regolare programmazione di mostre e fiere, affiancandoli ai nuovi progetti digitali». (SC)
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