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Gibellina nuova : “dream in progress” o ufo-art?

di - 29 Agosto 2018
Fondazione Manifesto, in occasione di MANIFESTA12, quest’anno ospite a Palermo, organizza, ogni sabato un tour chiamato “dream in progress”.
Il tour prevede tre tappe, la prima a ruderi di Poggioreale, uno tra i paesi più colpiti dal terremoto del Belice del 1968, una seconda tappa al grande cretto di Burri nella Gibellina vecchia e in ultimo, Gibellina nuova : la “città della ufo-art”, nata alla fine degli anni settanta come nuovo centro abitato, dislocato 20 km circa dalla città vecchia.
Per la nuova città, l’allora sindaco Ludovico Corrao propose un progetto ambizioso : “un’utopia concreta”, scrivevano gli affezionati riguardo la proposta di Corrao di “ricostruire la città attraverso l’arte, attraverso la bellezza”.
Un buon progetto può essere definito tale solo quando si incontra con l’atto del ‘fare’ e del ‘possibile’ e solo quando tale atto si dimostra compreso, può dirsi poi utile.
Quando ciò non avviene, l’ossimorica definizione “utopia concreta” cessa di essere un ossimoro per rimanere solo pura utopia.
E se l’arte, nel caso di Burri, ha svolto il ruolo di monumento funebre per le vittime, riuscendoci pur tra critiche e perplessità, per coloro che sono rimasti a Gibellina, forse, l’arte, non è bastata. Qualcuno la descrive come un ‘cimitero delle avanguardie’.
Questo succede quando l’arte arriva da lontano, diventando ufo-arte : un corpo estraneo, minaccioso, caduto dall’alto, che se in un primo momento incuriosisce, subito dopo ci si mette al riparo.
Gli abitanti di Gibellina nuova, infatti, ancora si riparano dall’arte (76 opere, tra istallazioni e progetti architettonici, tra cui figurano nomi celebri come Quaroni, Uncini, Venezia, Consagra, Cascella, Mendini, Purini, Pomodoro, Schifano, Paladino ecc..) o meglio dalle istallazioni che dominano, per grandezza ed estensione capillare, tutto il nuovo sito, diventandone i primi abitanti.
Corpi estranei, pensati da estranei, una soluzione lontana da quello che era, e che è ancora, l’obiettivo primario della popolazione : ritrovare la propria identità.
Edifici incompiuti, teatri-mostro, una città senza un centro dove piazze e strade grandi si comportano da forze centrifughe.
Strade troppo grandi da abitare, per chi oggi vive il nuovo centro, poco più di tremila anime, straniere in questa terra pianeggiante nera e paludosa, lontana dalla pietra bianca della vecchia Gibellina.
Solo se la popolazione smette di sentirsi ospite, può incominciare ad ospitare.
Gibellina in arabo significa ‘piccola montagna’, anche nel nome, oggi, gli abitanti non possono più riconoscersi. Un terreno lontano dall’essere una piccola montagna, come lontano dall’essere una ‘piccola’ qualsiasi cosa, dove le grandi dimensioni ospitano bene le istallazioni, dimenticandosi però degli abitanti umani.
Un ragazzo del posto afferma : “Qui la gente si raduna nei bar”. I bar spaventano meno della bellezza e sono più familiari perché sono figli di Gibellina, perché nascono da quel terreno.
E se le piazze, invece, sembrano spazi dechirichiani, ospitanti silenzio, vuoto e istallazioni-ufo la riflessione su Gibellina Nuova può riassumersi in un interrogativo : arte per la città, o città per l’arte? (Serena Schioppa)

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