Categorie: Opening

Have a nice time. Da Kounellis a Shiota

di - 19 Maggio 2017
L’arte contemporanea fa spesso e volentieri “a cazzotti” con l’immagine della bellezza naturale, perché si propone di insegnarci a interpretare il mondo (o almeno di fornirci una propria lettura non didascalica), insomma di guardare la realtà intorno a noi con occhi diversi, critici. Dimostrando, nel contempo, come la bellezza sia qualcosa che risieda oltre i soli canoni estetici: perché nasce dal profondo e si può trovare anche nella cosa più piccola e insignificante, forse addirittura brutta, sotto gli occhi di tutti. La bellezza diviene, così, un’esperienza totalizzante tanto forte da essere in grado di influenzare le scelte e le aspettative di vita individuali, aiutandoci a scoprire chi siamo. E l’arte contemporanea ne è l’alfiere prediletto.
Forse abbiamo, quindi, trovato la risposta a chi ci domanda, a fasi alterne, con sempre maggiore insistenza: “A cosa serve l’arte?”. “A trovare se stessi, almeno in parte”, potremmo infatti rispondere, a giudicare dalla produzione artistica globale degli ultimi venti anni. Qualcuno potrebbe trovarla una risposta banale, quasi da biglietto dei “Baci” Perugina, eppure è profonda quanto verosimile. Tanto più che questa considerazione non è soltanto valida per chi crea arte, ma anche per tutti gli altri attori della filiera del “sistema dell’arte”: critici, curatori, galleristi, collezionisti. E finanche, direi, per il pubblico abitué di mostre pubbliche e private. Gli “art addicted”, per usare un neologismo. Tutti sembrano alla ricerca, in un video come in una fotografia, in un’installazione come in una performance, in un dipinto come in una scultura, di uno specchio nel quale incontrare e riconoscere qualcosa di se stessi. Ma attenzione a non smarrirsi in assenza di punti di riferimento, a non farsi demoralizzare di fronte a tanta imperfezione. Piuttosto, talvolta, conviene lasciarsi andare, facendosi divertire dalle molte stimolazioni che solo l’arte riesce a riservarci. Quindi “Have a Nice Time” cioè “Divertitevi” recita il titolo della collettiva che si inaugura oggi nella suggestiva cornice di Palazzo San Francesco, a Domodossola. Ma, soprattutto, “trovate voi stessi nello spazio dell’arte”, sembrerebbe sul punto di aggiungere.
È questo il lungo filo rosso che collega tra loro artisti tanto diversi, come Maddalena Ambrosio, Chiharu Shiota, Antony Gormley, Peppe e Lucio Perone, Jason Martin, Mimmo Paladino, Joerg Lozek, Daniel Canogar, Jannis Kounellis, Jenni Hiltunen, Jaume Plensa, Anneé Olofsson, Bernardi Roig, Marcus Harvey, Gavin Turk, Giovanni Manfredini, Ximena Garrido Lecca, Spencer Tunick, Julian Opie, Max Neumann, Massimo Kaufmann, Franco Rasma.
In questo girotondo di linguaggi diversi, a prima vista persino caotici, c’è un altro anello di congiunzione. È Mimmo Scognamiglio. La mostra, infatti, propone il lavoro e le passioni artistiche di questo noto gallerista che può vantare un’esperienza umana e una pratica visiva acquisita lavorando a Napoli con una figura rivoluzionaria come Lucio Amelio. Privilegio non da tutti. Che ha fatto la differenza. Ecco, quindi, spiegata meglio l’origine di una selezione di artisti, tra Kounellis e Shiota, tanto eterogenea, non legata a tendenze. Spesso con il dono della profezia. E, per una volta, senza le solite “Cassandre” a piede libero. (CBS)

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