Categorie: Opening

Letizia Battaglia a Livorno

di - 19 Gennaio 2019
Letizia Battaglia, classe 1935, è una donna dal carisma irresistibile, una di quelle figure che mentre raccontano la storia, la scrivono. Dal 19 gennaio a Livorno, nei Granai di Villa Mimbelli-Museo Civico Giovanni Fattori, cinquanta dei suoi storici scatti – raccolti in una mostra che ha per titolo il suo nome – permettono di approfondire il lavoro e il ruolo di Letizia Battaglia, annoverata tra le protagoniste assolute della fotografia contemporanea.
Promossa dalla Fondazione Carlo Laviosa nell’ambito del progetto Fotografia e Mondo del Lavoro e realizzata in collaborazione con il Comune di Livorno, la mostra, di grande impatto, per le caratteristiche intrinseche al lavoro di Battaglia apre finestre su temi molto diversi tra loro, ma complementari: dalla storia della fotografia a quella del giornalismo, passando per la storia sociale e politica d’Italia, giungendo ad interrogare, implicitamente, i musei di oggi.
Abbiamo posto tre domande a Serafino Fasulo, curatore della mostra e direttore della Fondazione Carlo Laviosa, per conoscere più da vicino la figura di Letizia Battaglia e questo ente.
Quali aspetti del lavoro di Letizia Battaglia vuole approfondire la mostra?
«Quando nel 1970 Letizia Battaglia si trasferisce a Milano da Palermo, scrive per varie testate. I giornali le chiedono fotografie a corredo dei suoi articoli ed è dunque per necessità che diventa fotografa. Letizia è la prima donna a lavorare ufficialmente in una redazione giornalistica e fotografa di tutto: matrimoni, bambini, manicomi. Non viene da una scuola professionale e non ha una conoscenza approfondita della macchina fotografica. Tuttavia ha una grande consuetudine con le arti figurative che ha sempre seguito fino a farne una costante del suo universo culturale e sa esattamente come costruire un’immagine. Una fotografia rivela molto anche dell’autore e per Letizia Battaglia scattare significa darsi al mondo. La sua capacità di registrare la realtà con lucidità, anche se in situazioni estreme ed in maniera asciutta, non priva in alcun caso i suoi scatti di una forte ed intensa portata emozionale. Dietro ad una fotografia importante ci sono un pensiero ed una predisposizione empatica ad incontrare l’altro, sia che si tratti di una persona, di un paesaggio o di un oggetto. La mostra non segue pertanto né un andamento cronologico né tematico ma vuol sottolineare come un grande fotografo non si forma sui manuali d’istruzione ma su altri presupposti che sono l’empatia, il suo bagaglio culturale e la capacità di mettersi in gioco».
Quali elementi del suo lavoro l’hanno resa una delle fotografe più rilevanti della scena contemporanea?
«Il lavoro di Letizia Battaglia, una giovane di 83 anni, è stato spesso sommariamente etichettato come testimonianza sugli omicidi di Mafia ma ciò è riduttivo. La Battaglia è stata sì una fotografa di trincea (nomen omen) ma ci ha illuminati ed arricchiti anche con la sua incessante ricerca della bellezza e della dignità: le sue foto restituiscono il pathos delle tragedie greche, il dolore ed il sublime. Le linee guida dell’inquadratura conducono il suo occhio verso gli elementi più importanti della scena ma non le impediscono di andare a scoprire, nelle zone d’ombra, dettagli che aggiungono significato, mistero e inquietudine per una realtà incerta e dolorosa. Tutto questo è presente anche nelle foto che non riguardano direttamente la Mafia e che ritraggono le donne e soprattutto le bambine, le feste religiose, l’aristocrazia siciliana immobilizzata in tableaux gattopardeschi, la Palermo che “puzza”, quella che lei ama. Un’epopea dei vinti. Non si può comunque negare che le foto dei morti di Mafia l’abbiano resa celebre ma bisogna chiedersi come mai le sue foto siano rimaste impresse nella memoria collettiva mentre quelle di una miriade di giornalisti che hanno fotografato gli stessi eventi siano finite nel dimenticatoio. La sua è una foto di cronaca che attiene all’evento e al contempo lo trascende per raccontare la lotta eterna tra il bene e il male.
Letizia Battaglia è divenuta una delle figure più rappresentative del reportage, prima donna europea ex aequo con l’americana Donna Ferrato ad essere insignita a New York nel 1985 del Premio Eugene Smith per il fotogiornalismo (assegnato annualmente a fotografi che si siano distinti per un punto di vista innovativo in ambito sociale, economico, politico o ambientale). Da tempo non è più considerata una giornalista ma è stata inserita tra le figure più rappresentative dell’arte fotografica».
Qual è l’identità specifica della Fondazione Carlo Laviosa? Da dove nasce questa attenzione al legame tra fotografia e mondo del lavoro? Quali saranno le prossime mostre?
«La Fondazione Carlo Laviosa da sempre reputa il mondo del lavoro un campo di analisi di fondamentale importanza per la comprensione delle dinamiche sociali e delle disparità di condizione tra paese e paese. Parlare di lavoro significa infatti riflettere sull’energia primaria della quale l’umanità dispone e sul concetto di democrazia e per farlo la Fondazione ha scelto un linguaggio che da circa 150 anni è testimone ed archivio delle azioni dell’uomo e delle trasformazioni del pianeta: la fotografia.
Il progetto “Fotografia e Mondo del Lavoro” naturalmente non poteva non concedere lo spazio dovuto anche al lavoro del fotografo in quanto giornalista. È da tempo terminata l’era delle grandi riviste che ospitavano reportage importanti, fatti di immagini-testimonianze di grandi eventi, capaci di suscitare emozioni grazie al lavoro di professionisti che alla loro sensibilità univano una profonda conoscenza delle realtà che fotografavano. Per fortuna esistono ancora grandi professionisti che attraverso il loro lavoro di fotografi e di docenti contribuiscono ad una divulgazione della fotografia come mezzo di espressione di un “pensiero alto”. Un fotografo non può infatti prescindere dalla conoscenza profonda di ciò che intende raccontare, dall’empatia con il soggetto, dall’amore per le cose: gli straordinari scatti di Letizia Battaglia, senza dubbio, ci restituiscono tutto questo.
La prossima mostra, prevista per il settembre 2019, scaturirà dalla seconda edizione di un concorso a cadenza annuale che quest’anno avrà come tema il l’industria e la sua prorompente capacità di trasformare il paesaggio anche in termini antropologici e sociali. Fotografare le presenze industriali per scoprire come attorno ad esse nascano quartieri, si modifichino le dinamiche urbanistiche ed i costumi.
Per fine anno proporremo una mostra scaturente da un percorso produttivo e didattico che coinvolge il lavoro nell’ambito del volontariato e del sociale. Abbiamo affidato a sette importante del territorio che si occupano di autismo, sindrome di Down, affido, senza tetto ed accoglienza immigrati, altrettanti fotografi che ne hanno seguito per molti mesi l’operare. Il lavoro dei fotografi è oggetto della supervisione di Ivo Saglietti, reporter che ha ottenuto riconoscimenti importanti come, nel 1992, il premio World Press Photo (nella categoria Daily Life, stories) e che si è distinto per un’idea etica della fotografia. Proseguiremo allargando gli orizzonti alle associazioni di volontariato che operano su vasta scala con l’intento di far emergere realtà sommerse ma fondamentali per gli equilibri sociali.
Per l’inizio del 2020 stiamo già lavorando ad una mostra da dedicare ad una fotografa segnalataci da un collezionista che l’ha incontrata per caso. Una grande fotografa pressoché sconosciuta che dimostra come il caso Vivian Maier non sia unico ma significativo di una condizione femminile che ha fatto fatica ad esprimersi anche attraverso la fotografia». (Silvia Conta)
In alto: Ricevimento per la nobiltà a Palazzo Ganci, Palermo 1976, Courtesy dell’artista
In homepage: Capodanno Villa Airoldi, Palermo 1985, Courtesy dell’artista
Letizia Battaglia
Un progetto della Fondazione Carlo Laviosa in collaborazione con il Comune di Livorno
A cura di Serafino Fasuolo
Dal 19 gennaio al 15 marzo 2019
I Granai di Villa Mimbelli-Museo Civico Giovanni Fattori
Via San Jacopo in Acquaviva 65, Livorno
Inaugurazione: sabato 19 gennaio, ore 18
Orari: dal venerdì alla domenica, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00
www.museofattori.livorno.it

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