Agostino Arrivabene, Il mio nous manifesto, 2021, olio su tavola incamottata, cm 50,5 x 39,5. Collezione privata
Il 5 marzo, alle 18, nelle Sale Agello del Museo Civico di Crema e del Cremasco inaugura la personale di Agostino Arrivabene (Rivolta D’Adda, 1967) “Superbia. Nelle profondità dell’hybris”, a cura di Silvia Scaravaggi, che – ha anticipato il museo – presenta «una selezione di trenta opere tra dipinti, disegni, studi preparatori e vanitas» dalla produzione più recente dell’artista. La mostra è prodotta dal Museo di Crema in collaborazione con il main sponsor Azimut Capital Management.
La mostra nell’anticipazione del museo: «Il nucleo principale dell’esposizione è formato dal trittico Le due morti, realizzato tra il 2020 e il 2022, composto dall’omonimo dipinto e da due quadri inediti Usura e L’inaudibile II, e dalla tavola Purgatorio, Canto XI (I Superbi), creata per il ciclo pittorico dedicato alla Divina Commedia di Dante Alighieri, fino a oggi inedita e qui esposta per la prima volta insieme agli studi preparatori.
La mostra è fondata sull’equilibrio della triade tematica – superbia, usura, vanità – dentro le cui positive e negative locuzioni l’artista intende indagare una tensione al riconoscimento, alla confessione, alla riscossa e alla rinascita, anche in chiave cristiana ed escatologica. La riflessione sulla superbia, intesa nei multiformi aspetti della hybris sia in ambito artistico che culturale, dall’antica Grecia ai giorni nostri, ha assunto un ruolo determinante nella poetica di Arrivabene dell’ultimo biennio.
Una selezione di quattro opere conduce nei meandri di questa cogitazione: Verbo – immagine guida dell’esposizione –, Il mio nous manifesto, La crisalide II e Contra mundum; dipinti del 2021 in cui l’argomento della superbia è connesso alla meditazione sulla vanità, sul narcisismo, sul peso delle proprie scelte, sulla usura intesa nel suo più arcaico significato, sugli usi della società contemporanea e sui modi di affrontare il presente, con uno sguardo agli esempi della tradizione che attraversano la storia della mitologia, della religione, dell’arte e della letteratura.
Dall’Odissea omerica, alla Divina Commedia, fino ai Cantos di Ezra Pound, le opere affrontano le numerose e proteiformi manifestazioni della hybris, generando una mostra quale monito, che l’artista rivolge anzitutto a sé stesso, ma che si dilata nella larga trama della riflessione sul sistema dell’arte e di chi lo nutre. Un ciclo che attinge agli esordi di Arrivabene completa l’esposizione, indagando a ritroso l’emergere dei temi alla base della sua ricerca: a partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, l’artista si concentra sulla figura dell’androgino, sulla simbologia nel mito e sulla trilogia come spesso evocato in alcune opere, tra cui la iconica pala lignea La custode dei destini del 1987, esposta per la prima volta al pubblico in questa mostra. Qui la trilogia, incarnata nelle figure di Atena, Odisseo e Orfeo, si impone come archetipo di una disamina che l’artista svolgerà nel corso degli anni sui significati e i misteri della vita e, soprattutto, della morte. La stessa triade è riproposta ancora nel gruppo di Nyx insieme ai figli Thanatos e Hypnos, questa volta risolta nella potente opera I figli di Nyx del 1993, rappresentata anche da un ciclo di tre disegni. Il rapporto, appunto, con la morte, il dialogo tra divino e umano, la connessione tra l’artista e i grandi Maestri assurti a punto di riferimento – da Leonardo da Vinci a Michelangelo Buonarroti, attraversando il simbolismo di Gustave Moreau fino alla pittura di Pietro Annigoni e di Odd Nerdrum –, fluttuano nell’opera di Agostino Arrivabene, interprete di nuovi significati e nuove forme, capace di spingere oltre la visione sull’abisso, grazie a un serio lavoro di approfondimento culturale e a una capacità tecnica di straordinaria qualità».
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