Categorie: parola d'artista

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di - 16 Marzo 2015
Inventarium è un progetto che riprende e completa una performance ed una serie di disegni del 2010 – un ciclo di opere dal titolo Ali Squamose – dove il sangue è la mia materia di ricerca. Il nucleo di partenza è un piccolo libro di Piero Camporesi, Il sugo della vita. Simbolismo e magia del sangue, in cui l’autore analizza il significato del sangue nell’immaginario privato e pubblico. Tra i disegni di questa serie ce ne sono sei in particolare, che prendono forma dopo la mia visita al Museo della Memoria di Ustica a Bologna e la visione dell’installazione permanente di Christian Boltanski, e definiscono il senso del plasma nelle mie opere. La necessità di imprimere un cuore sulla carta e di rendere visibile la traccia ematica diventa un omaggio ai parenti delle vittime della strage, alla loro forza, alla loro lotta vitale, grazie alla quale dopo anni e anni siamo arrivati alla verità. Quel 27 giugno del 1980 nei cieli italiani c’è stata una battaglia aerea, ed un missile ha abbattuto il DC 9 dell’Itavia con a bordo 81 civili italiani. Il sangue impresso nelle opere diventa quindi sinonimo di energia e pulsione vitale.
Boltanski, nella sua installazione, pone davanti ai resti dell’aereo nove casse di pelle nera chiuse, contenenti gli oggetti di vita quotidiana ritrovati nel mare siciliano, visibili soltanto nel libro della memoria, archiviati fotografia per fotografia; io li tiro fuori, li disegno in grandi dimensioni, a matita, segno su segno. Un disegno realista, un tratto che si rifà all’incisione a puntasecca, una serie di segni uno sull’altro, sulla carta, sinonimo di segni sulla pelle, sono cucchiaini, tazzine, chiavi e ciabatte che affiorano intorno alle impronte dei cuori. Queste sei tavole a matita e sangue, più una con la sola impronta di un cuore, sono il fulcro di Inventarium, un viaggio all’inverso tra Palermo e Bologna a chiudere il mio cerchio su questa triste storia tutta italiana.

La prima tappa di Inventarium è allestita nel cuore di Palermo, all’interno della Cavallerizza dei Palazzi Costantino e Di Napoli, ai Quattro Canti. I due palazzi, esempi eccelsi di un meraviglioso Barocco siciliano ora ridotti a poco più che ruderi decadenti, sono portabandiera della mala politica. Furono acquistati dal mecenate Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona con un intento nobile, dare a Palermo un museo ed un hotel dedicato al contemporaneo, ma il progetto è rimasto incagliato nella macchina burocratica del Comune, e i due palazzi abbandonati sistematicamente depredati delle meraviglie che contenevano. Ho scelto questo luogo perché grazie ad un gruppo di palermitani oggi è simbolo di vita, come lo è la mia riflessione su ciò che accadde dopo quel 27 giugno. Oggi la Cavallerizza ospita CANTO217, l’associazione che con il mio progetto site specific apre l’enorme portone di questo luogo ferito nel cuore della città. Una ferita nella ferita, a cui rispondono la forza e la tenacia delle persone: è qui il mio sangue.
Varcando le soglie del palazzo si rimane sospesi senza fiato, con una sensazione analoga a quella creata da Boltanski a Bologna con la carcassa dell’aereo, le 81 lampadine che non si spengono mai, le 81 voci che circondano l’enorme scheletro. Qui a Palermo una gru campeggia nel centro della corte, tra colonne di marmo, stucchi, calcinacci, ballatoi pericolanti, strati di polvere che fermano il tempo. Ho voluto creare la sospensione con un audio – uno sgocciolio d’acqua che invita verso la cavallerizza. Un espediente semplice che abbraccia il luogo e blocca l’osservatore in silenzio, blocca le parole inutili. Ho pensato alla Cavallerizza come l’interno di un aereo o una cripta, e i disegni sono sospesi tra i pilastri a creare quattro piccole stanze. Ogni oggetto ha il suo sangue, ha la sua intimità, ha la sua appartenenza, la sua storia, dal cuore al volo. Nell’ultima tavola gli oggetti scompaiono, intorno al cuore si muove una farfalla appena tracciata, ed una frase, “Il folle volo”. In fondo campeggia un arazzo di tre metri, nato dopo l’incontro con Daria Bonfietti, Presidente dell’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica. Ho immaginato un enorme altare di tessuto, un contenitore solenne per una frase semplice, QUELLO CHE DOVEVA ACCADERE, ricamata sul grigio con un filo color ruggine come il sangue che nel tempo cambia colore e si sublima. È una frase lapidaria che Daria proferisce spesso, in particolare quando incontra gli studenti. Quello che doveva accadere campeggia nel centro della Cavallerizza tra i disegni, quello che doveva accadere è per me raggiungere la verità. L’ultima lettera è solo tracciata a matita bianca, l’ago si ferma alla R ed è lasciato appeso al filo, cade a piombo, fermando di nuovo il tempo. Che cosa può accadere oltre che arrivare alla verità? Lo stato di sospensione riguarda anche e soprattutto me stesso. L’arte si è fatta vita, la vita si è fatta arte.

Dopo cinque anni un mio progetto raggiunge il suo sbocco naturale. Le storie dei parenti delle vittime penetrano i miei disegni. Il signor Pinocchio, 80 anni, mani forti stretta decisa, perse due figli, mi ringrazia, affermando che l’arte è l’unico modo possibile per proseguire le loro storie. Fortuna mi racconta degli indimenticati odori che acquisiva la pelle del marito i sabato pomeriggio in campagna stando tra le mucche – anche il marito scomparve in quel folle volo. Daria narra di una fuga in Germania dopo la tragedia, racconta che l’Italia, lo stato italiano, decretarono sbrigativamente “un cedimento strutturale”. Salendo su un taxi tedesco un 27 giugno di qualche anno dopo, una doccia fredda, uno speaker ricorda l’anniversario, quando in Italia cadde un aereo di linea. Cosa può accadere oltre che arrivare, finalmente, alla verità? Semplicemente si può terminare il ricamo. La mia sospensione terminerà il 27 giugno a Bologna, alla galleria + (oltredimore), quando ricamerò l’ultima lettera alla fine di questo viaggio al contrario, ora mio simbolo di vita.
Il cammino nella Cavallerizza si conclude dietro l’arazzo, in un piccolo antro che muta in cripta, con 81 stampe di un numero 9. Il numero nove è il numero della generazione e della reincarnazione, e ricorre in questa tragedia: era il 27 giugno, era un DC 9, 81 furono le vittime, 19 gli anni per arrivare alla verità. Boltanski ha usato 9 scatole come contenitori segreti, e ora Inventarium presenta 9 opere. 81 stampe a disposizione del pubblico; ognuno ne prenderà una e se ne farà carico, e se vorrà lascerà una traccia nel mio taccuino della memoria.
Il mio progetto è stato accolto da CANTO217, la nuova associazione palermitana diretta da Giacomo Rizzo. Inventarium è curata da Serena Ribaudo, ed è stata allestita da Agnese Giglia con l’aiuto degli Allievi del corso di Allestimento degli spazi espositivi dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, che hanno saputo valorizzare il mio stato e le mie motivazioni.

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  • Sono oramai tanti gli artisti, forse troppi, che parlano del loro progetto come se fossero degli storici, degli studiosi...
    Poi addirittura c'è chi vuole scoprire la verità, ma su Ustica bisogna andarci molto cauti. Ad esempio non c'è nessuna prova che il missile sia francese. Anzi, la cosa sicura è che molto probabilmente non lo sapremo mai.
    Gli artisti, forse, si dovrebbero concentrare su altro.
    flavio favelli

  • Gentile Flavio Favelli, la ringrazio per la precisazione. Ha ragione, la nazionalità del missile non è stata appurata dalla magistratura che sta ancora indagando. Ciò che si sa è che l'aereo è stato abbattuto nell'ambito di un episodio di guerra aerea ( Sentenza del 1999) . Chiederò alla redazione di correggere. Non è certo per sostituirmi agli storici che ho trattato questo tema, come avrà sicuramente letto nell'articolo. Un saluto Giovanni Gaggia

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