AND THE WINNER IS…

di - 12 Marzo 2007

Il ritorno alla ribalta dei premi nell’Art System contemporaneo è un dato di fatto. La storia del format nella tradizione artistica italiana ha conosciuto alcuni picchi fortunati e momenti di sconsolato abbandono. Nel decennio tra il 1945 e il 1955 il premio costituiva, infatti, da punto di forza economico e da veicolo d’informazione. I vari San Fedele o Permanente erano dei momenti fondamentali nella carriera di un artista, ne influenzavano l’andamento ed il mercato, per non parlare del Leone d’oro a Venezia che prometteva un futuro parimenti aureo. Con l’avvento di iniziative come il Festival di Spoleto e successivamente la proliferazione delle Biennali, il premio perde il suo carisma e progressivamente scompare dall’orizzonte delle tappe obbligatorie. Devono trascorrere diversi decenni perché le cose cambino. Nel 1984 fa da apripista il londinese Turner Prize. Seguono a ruota nel 1996 l’Hugo Boss di New York, nel 2000 il berlinese National Galerie Prize, il parigino premio Duchamp e, finalmente, nello stesso anno il Furla e due anni dopo il Premio New York. Cosa distingue le manifestazioni nostrane dai predecessori transalpini e d’oltreoceano? Innanzitutto la short list, ovvero la rosa di candidati destinati al titolo, prescelti tra i più interessanti o quanto meno i più acclamati artisti dell’anno trascorso. Criterio non sempre perseguito in Italia, laddove la selezione sembra essere dettata da oscure cause esoteriche, fino a portare alla ribalta nomi a malapena orecchiati dal pubblico dei fedelissimi, e completamente sconosciuti agli appassionati. Il secondo problema riguarda l’età dei concorrenti. Lo scorso Hugo Boss (2006) consacrava Tacita Dean tra una rosa composta da Jennifer Allora, Guillelmo Calzadilla, John Bock, Damian Ortega, Aida Ruilova, Tino Sehgal. Il Duchamp premiava Philippe Mayaux che la spuntava su Leandro Erlich, Bruno Peinado e Adel Abdessemed. A Berlino è ancora in corso l’aspra disfida tra i recidivi Tino Sehgal e Damien Ortega contro Ceal Floyer e Jeanne Faust. Tutti cosiddetti, midcareer, ovvero artisti che hanno raggiunto quotazioni discrete sul mercato e che fanno tendenza, ma che hanno ancora una strada da percorrere perigliosa e lunga. Ma soprattutto lunga. Il che lascia molte speranza per l’avvenire di questi araldi della contemporaneità e pone aspettative per le quotazioni in asta, tale da consentire a collezionisti e speculatori di ponderare un sensato investimento, che non costringa a ricercare immediatamente un successivo acquirente. La durata, infatti, nel sistema dell’arte contemporanea italiano è un problema topico. I giovani artisti, quando la galleria di riferimento lavora bene e l’esordiente è buon mercante di se stesso, conoscono nell’arco di pochi anni –dai tre ai tre– ascesa, acme e parabola discendente.
A cosa si debba tale successo estemporaneo è molto semplice. Innanzitutto al mercato, ansioso di carne fresca. I giovanissimi, galvanizzati dalle lusinghe di un gallerista che sa il fatto suo, vengono proiettati nel sistema senza nessuna intenzione di attuare un sano discorso progettuale, fatto di strategie, pause, mosse caute e spesso attese. Le quotazioni salgono sull’onda dell’entusiasmo a prezzi vertiginosi e i curricula scarseggiano di punti di forza, veramente determinanti. Cosicchè mentre un Saatchi vende i suoi pupilli a 2000 euro, un virgulto nostrano può arrivare, senza pudore, agli 8000 o forse più.
La donzella forse riuscirà a farsi il corredo nuziale, e il maschietto ad acquistare l’auto, ma non certo a garantirsi un futuro, tanto meno, qualora questo ancora interessasse a qualcuno, a segnare il passo nella Storia dell’Arte. E soprattutto non riuscirà a varcare i confini del Paese, conoscendo il massimo dell’internazionalità a Milano e nella Capitale, perderà infine ogni possibilità di entrare in casa d’asta e di mantenere la quotazione. D’altronde perché i collezionisti stranieri dovrebbero acquistare ragazzini italiani al quintuplo dei propri fanciulli?
Il problema è spinoso e chiama in causa anche i Premi. Innanzitutto, senza voler fare alcuna dichiarazione di demerito, bisogna riflettere su un sistema che ricicla lo stesso artista appena trentenne per due premi ed una biennale e decretarne l’effettivo collasso. Inoltre ci si deve chiedere se entrare in lizza al Furla o al New York con una data di nascita che non precede il 1976 e senza un passato da difendere, possa essere effettivamente una vittoria e non una disfatta per questi giovani.

Mentre all’estero i musei e le competizioni mostrano le proprie grazie, spronano i propri cavalli di battaglia con manifestazioni davvero internazionali, l’Italia resta a guardare e si richiude su se stessa. Non si interessa di difendere le proprie risorse. Cerca la novità, l’originalità, il bambino prodigio da gettare in pasto all’opinione pubblica e, successivamente, a misfatto consumato, da lasciare al proprio destino.
Non teme nel dichiarare al sistema internazionale dell’arte che certe mostre raffazzonate, prive di agonismo e sano dibattito, rappresentano il meglio della propria produzione e di esporsi così allo scetticismo altrui. I panni sporchi, d’altronde, si lavano in famiglia.

santa nastro

*foto in alto: Luca Trevisani (Premio Furla 2007), Gibbosa e sfuggente, 2006, nylon stereolitografato, 2 elementi, diametro cm 14

[exibart]


Visualizza commenti

  • non penso che vascellari sia un riciclaggio di sè stesso. piuttosto vediamo se galleristi e collezionisti sapranno sostenerlo. personalmente ritengo meriti ben più di quanto si possa supporre!

  • che c'entra vascellari? Il furla l'ha vinto trevisani no? E allora parliamo di lui. Và sopra che belle palle che fa...

  • non intervengo mai nei miei pezzi, ma ritengo che qui serva specificare. l'articolo non è su vascellari e non ho mai detto che egli sia il riciclaggio di se stesso, nè ho rilasciato giudizi di merito sul lavoro dell'artista, poichè in questo frangente mi interessa poco farlo. Il riciclaggio di cui parlo è operato dal sistema dell'arte italiano e dalle sue sottostrutture, come i premi e la Biennale. Trovo che sia un pò limitante che un sistema confermi il medesimo artista per tre manifestazioni. Non è una consacrazione dell'artista, ma un tiro a bersaglio. Si tratta di strategie, tutto qui.

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