“CHIUDETE QUESTA MOSTRA ILLECITA”

di - 21 Marzo 2007

Giornate convulse, un clamore assordante, contrapposto ad assordanti silenzi. Non è certo passata inosservata la nostra inchiesta sulla mostra di George Lilanga al Museo Andersen di Roma, ed anzi dallo scorso 9 marzo – quando uscì il primo articolo – sono molti i tasselli che si sono aggiunti, e che speriamo ci portino presto a fare chiarezza su questo affaire di presunti falsi esposti in un museo statale. Intanto, nel procedere delle nostre “indagini”, si vanno delineando due fronti, strettamente legati eppure distinti, che anzi sarà meglio individuare precisamente.
Da una parte la querelle che nelle prime due tranches dell’inchiesta ha già visto contrapporsi due linee, con alcuni critici d’arte – Sarenco, Enrico Mascelloni, Eric Girard-Miclet – che accusano i curatori della mostra romana di aver esposto opere false per la quasi totalità, e di essere da tempo attivi nella contraffazione e commercializzazione di opere false di Lilanga. Ed i medesimi curatori – Luca Faccenda e Marco Parri – che rispondono con toni ultimativi e minacciosi (curiosamente prendendo di mira Exibart, piuttosto che chi li accusa realmente). Una querelle che ha avuto – come vedremo più avanti – molti sviluppi, e che ognuno potrà giudicare dopo aver letto i molti documenti e testimonianze che abbiamo reperiti.
Da un’altra parte c’è un aspetto della vicenda, che potremmo definire istituzionale, che vede il Museo Andersen – e di conseguenza la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, di cui lo stesso è parte – coinvolti in una vicenda quantomeno scomoda, con molti punti che meriterebbero chiarimenti, e che invece stanno a guardare, respingendo qualsiasi nostro tentativo di ottenere delucidazioni. Accompagnati, nel silenzio, da una serie di altri “attori”, come il Comune di Roma – patrocinatore della mostra – ed il Corriere della Sera – che, stando ad alcune testimonianze, ha deciso (legittimamente, per carità) di non pubblicare nulla sulla vicenda, pur essendone a conoscenza da tempo e pur avendo iniziato a sua volta un lavoro di inchiesta del tutto simile al nostro.
Molti, si diceva, i documenti e testimonianze che siamo riusciti a raccogliere, e che vi presentiamo ora cercando di organizzarli in una sintesi. Dove possibile, pubblicando in allegato i documenti originali. (Le parti dichiarano che i documenti pubblicati sono pubblici).

“Una violazione dell’opera di George Lilanga”
Sono venuto a conoscenza, dalle mie attendibili fonti in Italia, che una mostra di opere del defunto George Lilanga, organizzata dal Museo Andersen, è in corso a Roma”. La testimonianza in questo momento più pregnante giunge al nostro fax alle ore 14.02 del 20 marzo 2007. Proviene dalla Tanzania, e il foglio reca in calce il timbro del notaio Mussa Anyitike Roma. È una dichiarazione in lingua inglese del figlio del defunto artista, Coster Lilanga, dove – dopo le varie dichiarazioni anagrafiche di rito – si parla in termini piuttosto perentori delle opere in mostra al Museo Andersen. “Alla luce delle informazioni ricevute” – afferma Lilanga dopo aver ricevuto il catalogo della mostra -, “che confermo essere attendibili, dichiaro che la pretesa mostra di opere di George Lilanga non rappresenta o riflette l’opera originale dell’artista, e gli organizzatori non hanno nessuna autorizzazione a presentare questa mostra, che affermo con la presente rappresentare una violazione dell’opera di George Lilanga. Invito tutte le autorità di Roma a chiudere immediatamente questa mostra illecita”.
In calce, per completezza, pubblichiamo anche un documento dello scorso anno –autenticato dall’Ambasciata italiana in Tanzania- in cui la famiglia Lilanga sconfessa in toto e considera non valido il carteggio sul quale si basa tutta l’attività di National Gallery Firenze, la società che autentica le opere di George Lilanga e che ha organizzato la mostra al Museo Andersen.

Parola di Ambasciatore
Esibisce una memoria di ferro, Marcello Griccioli, Ambasciatore d’Italia in Tanzania dal 2002 al 2006. Lo incontriamo nella campagna di Siena, dove è rientrato a gestire le sue fattorie al termine del mandato diplomatico. È anche un raffinato collezionista di arte africana, ed è stato amico di George Lilanga fino alla sua morte, nel 2005. “Lo feci portare anche a Milano, dove cercavo di aiutarlo per le sue protesi alle gambe, che gli erano state amputate in seguito al grave diabete“, ricorda. “A Dar Es Salaam seguii da vicino tutte le vicende oggetto di questa inchiesta, tenevo molto alla sua opera. Si sapeva di questo belga, Yves Goscinny, che gestiva la Petite Galerie, nella quale vendeva opere false di Lilanga. Egli era l’organizzatore di una alquanto approssimativa «Biennale di Dar Es Salaam», e la cosa contribuiva a dargli un alone di credibilità. Sapevo benissimo che i falsi da lui venduti erano realizzati da Henryk, il nipote dell’artista. Io gli parlai“, prosegue l’ambasciatore, “spiegandogli che con il suo comportamento, fra l’altro, stava svalutando tutti gli originali, in possesso della famiglia. Per un anno smise i suoi traffici, ma poi riprese come prima. Goscinny poi commerciava opere in Europa grazie ai suoi contatti con Faccenda e Parri, i quali autenticavano i lavori con la National Gallery, chiedendo un pagamento di 400 euro per autentica. C’era poi un altro filone che portava opere verso la Germania“. Fin qui la ricostruzione dell’ambasciatore Griccioli, che non manca di dichiarare che per tutto il tempo in cui lui ha retto la sede diplomatica, ovvero dal 2002 al 2006, Parri e Faccenda non si sono mai visti nel paese. E che vuole anche sollevare un paio di interrogativi, di più stretta attualità, introducendo elementi su cui torneremo più avanti: “La cosa grave e la vera domanda è come mai un’istituzione pubblica come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna si è venuta a trovare coinvolta in una vicenda dai contorni così poco chiari? Perché un giornale come il Corriere della Sera, che aveva pronta una intervista a Sarenco sull’affaire, ha deciso di non pubblicare nulla facendo passare una operazione come questa sotto silenzio?“.

Il gioco delle tre scimmiette
Mi interessa, a questo punto, precisare la posizione delle «tre scimmiette» (che non vedono, non parlano e non sentono), e cioè le istituzioni che hanno permesso la mostra al Museo Andersen, chi ha curato la mostra e ha scritto in catalogo, altri critici o giornalisti sui generis che l’hanno promossa e recensita”. Nel vorticoso susseguirsi di interventi, scatenatosi dopo la pubblicazione della nostra inchiesta, non mancano nuove dichiarazioni del critico Enrico Mascelloni, che fornisce una sua “contestualizzazione” della vicenda, rivedendola nell’ottica del ruolo delle istituzioni e delle reazioni – o non-reazioni – dell’opinione pubblica. “Dopo il nostro attacco non parla più nessuno”, dichiara. “Sono letteralmente spariti tutti dalla circolazione. In realtà c’è chi parla: l’avvocato di Faccenda e Parri, un tale Mario Ferrara che si fa portavoce degli interessi dei curatori e dei promotori e che esige soltanto che si taccia su tutta la linea, che cioè la mostra resti aperta sino alla data stabilita e che non si turbi l’attività di vendita e autenticazione della National Gallery. Le sue lettere ad Exibart (ed altre lettere preventive a importanti quotidiani) sono già un «cult» dell’arroganza sgangherata, in perfetta sintonia con la qualità della mostra e dei curatori. Valga per tutte la richiesta a Exibart di «non pubblicare mai più alcuna dichiarazione di Mascelloni e Sarenco, dei quali come risulta dal vostro sito avreste interessi in comune». Cioè vi minaccio, e se non fate quello che vi chiedo denuncio gli «interessi in comune». In realtà anche questo Ferrara sa bene che il solo interesse che abbiamo in comune è fare luce sull’Affaire Lilanga, quindi su ciò che spaventa oltremodo curatori e promotori della mostra al museo Andersen, che è già per tutti costoro una patata bollente, da lasciare sbollire subendo il minimo dei danni. Ma i danni non saranno minimi e le «tre scimmiette» hanno tutte le ragioni di risultarne spaventate”. Le parole di Mascelloni poi tornano a sottolineare il silenzio da parte dei responsabili del museo che ospita la mostra, in relazione anche all’ultima perentoria lettera di Coster Lilanga. “Ma veniamo al punto centrale: le «tre scimmiette» non parlano perché non saprebbero cosa dire. Non sanno nulla di sostanziale né di Lilanga né tanto meno dell’arte africana contemporanea. Il «silenzio dei sovrintendenti», rispetto al «silenzio degli innocenti», ha dalla sua un’invincibile nota comico-patetica e una sorta di ottimismo della volontà dallo scarso futuro: credono davvero che arrivando indenni alla fine della mostra non verranno coinvolti nello scandalo dell’Affaire Lilanga? Riusciranno a tenerla aperta anche dopo la lettera di Coster Lilanga, che denuncia come falsi la maggior parte dei lavori pubblicati in catalogo? Chiudendo la mostra in anticipo si smarcherebbero, sia pure in ritardo, dai curatori. Tenendola aperta sino alla fine eviterebbero soltanto di dichiarare in anticipo il pressappochismo nella scelta degli interlocutori e la loro ignoranza in materia, sulle quali, peraltro, nessuno ha più dubbi”.

“Jean Baudrillard avrebbe apprezzato questa vertigine di sumulacri e di copie”
C’era un tempo in cui i falsari si accontentavano di fare falsi e venderli. Oggi i falsari dichiarano che solo i loro falsi sono veri”. Sceglie invece le corde dell’ironia e del paradosso Eric Girard-Miclet, direttore del Centro culturale francese di Dar es Salaam in Tanzania (Ministero degli Affari Esteri) dal 2000 al 2004, critico d’arte per anni in contatto con Lilanga (nel primo articolo dell’inchiesta pubblichiamo una sua foto insieme all’artista). Che presenta una lunga memoria che riportiamo in allegato, in lingua francese, nella quale tuttavia saltano agli occhi alcune precise domande che rivolge ai curatori della mostra Faccenda e Parri.
Come è possibile esporre una scultura di Lilanga datata anni Settanta quando questa tecnica lui ha iniziato ad utilizzarla alla metà dei Novanta?”. E ancora: “Come possono dichiarare, di un piccolo inchiostro su pelle di capra, che faceva parte della collezione dell’artista, quando si sa che Lilanga non conservava nulla?”. “Comprendano bene”, precisa poi il funzionario transalpino, “che non ho paura del dibattito pubblico, e che anzi lo ambisco affinché vengano smascherati e rispondano dei loro atti di fronte a quanti hanno frodato: collezionisti, direttori di museo, funzionari di ministero. Bisognerà che questi sciacalli provino che ciò che dico è falso”.
E così conclude, dopo aver citato anche l’appena scomparso filosofo francese come riportiamo nel titolo del capitolo, la sua lunga lettera pubblica: “Pongo l’ultima domanda: in qualche girone dell’inferno Dante, il fiorentino, gettò gli usurpatori?

Dov’è, l’Africa?
Nel 2005 ha ospitato una delle tre mostre avute in Italia da George Lilanga, accompagnate da un catalogo Skira curato da Sarenco ed Enrico Mascelloni. Anche Franco Riccardo, gallerista napoletano, ha qualcosa da dire sulla vicenda, e sulla gestione della mostra romana. “Sono ormai più di 10 anni che mi occupo di arte contemporanea africana con Sarenco ed Enrico Mascelloni”, ricorda. “Di questi due individui di Firenze non conosco nemmeno l’esistenza, sono stato più volte in Africa, sempre con Sarenco, e conosco molto bene il rapporto che ha con tantissimi artisti africani, ed in particolare con Lilanga e la sua famiglia. La mostra di Lilanga organizzata nella mia galleria è stata preparata con Lilanga ancora in vita, e all’inaugurazione erano presenti oltre a Sarenco, Girard Miclet e il figlio di Lilanga, Coster. Quello che sconvolge in questa storia non è tanto l’operato di questi individui (purtroppo ce ne sono molti) che dovrebbero essere allontanati comunque dal mondo dell’arte, ma le istituzioni pubbliche che affidano a persone non autorizzate, non qualificate, che non sanno nemmeno individuare geograficamente L’Africa, a presentarne una mostra!”.

“La dottoressa Marini Clarelli? È impegnata…”
Da più parti evocata, è la cortina di silenzio calata – a certi livelli – sulla questione, la cosa che in questo momento ci colpisce più di ogni altra. Abbiamo cercato di avere dichiarazioni da tutte le parti in causa, con l’unico scopo di fare chiarezza e di fugare i dubbi. Eppure… Eppure non sono servite e-mail, telefonate, contatti diretti, nulla. Nulla dal Comune di Roma, al quale avremmo voluto chiedere come mai un’amministrazione comunale concede – irritualmente – il proprio patrocinio ad un’iniziativa di un museo statale. Nulla dalla redazione del Corriere della Sera, che pure non ci doveva giustificare niente. Ma al quale abbiamo semplicemente chiesto – prima al telefono, poi via e-mail – perché avesse deciso di non pubblicare un’inchiesta – a quanto risulta già pronta – su un tema così controverso. Ma soprattutto nulla dal Museo Andersen, ovvero dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che del resto ospita anche l’ufficio della direttrice Elena Di Majo. Giorni di inutili telefonate alla ricerca della stessa Di Majo, poi della responsabile dell’ufficio stampa Carla Michelli, e alla fine… della soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli. Niente neanche da lei, che pure dovrebbe essere la più alta responsabile dei musei afferenti alla sua struttura: era in riunione, oppure riceveva delle persone, o era fuori stanza. Abbiamo lasciato recapiti, dietro promessa della sua assistente che saremmo stati richiamati entro 5 minuti… Ma il nostro telefono è rimasto acceso invano.
Alla dottoressa Marini Clarelli avremmo posto questioni molto semplici, che ora ci vediamo costretti a rimettere qui…
1 – Come mai il Museo Andersen, afferente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, ha acconsentito ad ospitare una mostra di George Lilanga, malgrado sia noto a chiunque si avvicini all’artista il fatto che da anni la sua opera sia al centro di diatribe giudiziarie?
2 – Certamente chi ha seguito e vagliato la proposta di questa mostra, prima di accettarla avrà diligentemente assunto informazioni e studiato l’artista, compulsando anche il Catalogo Generale curato da Sarenco, che ci risulta voi possediate. Nessuno ha pensato di fare qualche verifica, leggendo che lo stesso Sarenco, in un testo definisce, prendendosene la responsabilità, “banditelli” i due signori che si proponevano come curatori?
3 – Le sembra normale, ed eticamente impeccabile, che nel comunicato stampa che presentava la mostra al Museo Andersen, molto spazio era dedicato ad indicare chi fosse titolato a rilasciare autentiche su Lilanga, ovvero la National Gallery di Firenze, facente capo agli stessi curatori della mostra? Che chiedeva lucrose parcelle per queste autentiche, magari anche grazie a questa inedita “pubblicità” di un museo pubblico?
4 – Crede che esista altra struttura pubblica nel mondo civilizzato i cui responsabili abbiano la chance di sottrarsi alla stampa con lo stile suo e dei suoi collaboratori? Pensa, a questo punto, di rispondere se non a noi per lo meno agli altissimi dirigenti pubblici italiani e francesi che lanciano inequivocabili stigma sulla mostra?

Consideriamo chiuso qui il nostro legittimo lavoro di inchiesta giornalistica. Non sapendo dove sia la ragione o il torto e non immaginando chi menta o chi dica la verità, ci auguriamo che il faro sulla faccenda venga puntato ora dalle autorità competenti, con l’obiettivo di fare chiarezza al più presto.

*immagine in alto: George Lilanga, foto di Gianni Lillo

Le prime due puntate dell’inchiesta
“QUELLE SCULTURE SONO TUTTE FALSE”
“QUELLE SCULTURE SONO TUTTE AUTENTICHE”
link correlati
L’ultima dichiarazione autenticata di Coster Lilanga
Il telegramma di diffida della Fondazione Sarenco al Museo Andersen
La nuova lettera di Eric Girard-Miclet
Il nuovo promemoria di Sarenco sull’Affaire Lilanga
Estratto del testo di Sarenco per il terzo volume del Catalogo Generale di Lilanga
L’accordo del 2000 fra la famiglia Lilanga e Sarenco
La dichiarazione del 2006 della famiglia Lilanga in favore della Fondazione Sarenco
Il comunicato stampa della mostra al Museo Andersen

massimo mattioli e massimiliano tonelli

[exibart]

Visualizza commenti

  • Non pensavo si potesse arrivare a tanto.
    Ma come riescono a tenere imbavagliata tutta la stampa romana?non certo, credo, le minacce dell'avvocato di Faccenda e Parri.
    Che c'è dietro?????

  • Coster Lilanga è un burlone avido. Ha firmato anche l'autorizzazione per Parri e Faccenda. Se paghi gli il denaro abbastanza, attesta ti tutto ciò che vuoi. Il diverso era da ambasciatore Griccioli, o? Cosa era il contraccambio per la sua attestazione per Sarenco col sigillo dell'ambasciata italiano? Naturale la pubblicazione del Lilanga opere falso diverso nel terzo catalogo. Diventano così da dipinti e figure senza valore opere „autentiche“. Mi chiedo quando questa palude è messa finalmente a secco!

  • Onokim, qui serve chiarezza, sperando che venga fatta e soprattutto in fretta. Io sono personalmente curioso di conoscere le spiegazioni che le strutture pubbliche avranno da fornire.
    Per quanto riguarda i tuoi commenti, sembri uno molto interessato alla cosa: o sei Felix Lorenz o chi per lui, o sei un commerciante dei tanti, di opere di Lilanga, incazzato perchè non può più farsi gli affari suoi.
    Perciò io dico che se sai qualcosa di interessante da apportare alla situazione, mettiti a disposizione dell'inchiesta, e di quello che ne seguirà eventualmente, a livello legale, per poter finalmente mettere la parola fine a questa, VERAMENTE PENOSA, vicenda.
    Qui tutti dovremmo avere a cuore l'unica cosa che veramente conta: LA VERITA', non il mercato.......
    Il mercato poi, si basa su certezze che, al momento non ci sono.
    Una volta stabilite basta adeguarsi: piacciano o no.
    Certo che a leggere qui sopra, avendo spiegazioni circostanziate e dettagliate, fornite solo da una parte, non sembra che ci sia molto da capire.
    L'ARTE è di tutti e non si può MAI gestire come una faccenda privata.
    Da quello che io ho letto qui sopra, sembra proprio invece che a non essere stata rispettata, sia proprio la cosa più importante.
    In più il comportamente della parte istituzionale, fa proprio pensare che qualcosa che non vada, ci sia proprio.
    Non mi stufo di ripeterlo: sarebbe interessante sentire le spiegazioni della GNAM.
    L'utenza del sistema ARTE, ne sarebbe grata!

  • Una “National Gallery” in Italia con la sede a Firenze che ha il mandato legale ed esclusivo di valutare, verificare e rilasciare certificati di autenticità per l’arte etnica dall’Africa fino ai deserti australiani? Una ‘galleria nazionale’ che abbia tra i suoi maggiori obiettivi la protezione degli artisti indigeni affinchè siano pagati adeguatamente per la vendita delle loro opere? Una organizzazione che portegge i collezionisti, che promuove artisti, stili e movimenti d’arte indigena, entrando nel sistema dei protocoli internazionali? Una ‘label of authenticity’ che ispira fiducia? Tutto ciò non si può falsificare e nè si può tacere la verità.

    Sarenco e Enrico Mascelloni sono riconosciuti a livello internazionale, immersi nell'ambiente da anni, mettendo su mostre insieme e direttamente con Lilanga, altri artisti africani, o provenienti da altri luoghi, e portando il mondo in Italia. Il loro rapporto con Lilanga, la sua famiglia e il suo lavoro è concreto ed impegnato. Purtroppo questo gentilissimo “Picasso africano” è morto troppo presto per godersi tutto il riconoscimento che meritava, ma per fortuna e con coraggio glielo stanno assicurando questi due veri connoisseurs.

  • Mascelloni e Sarenco saranno anche due avventurieri, ma questa volta sembra che abbiano davvero ragione. Inoltre le loro mostre come "La Sindrome di Tamerlano" mi sono piaciute molto..

  • come si può dar credito a due personaggi (Mascelloni e Sarenco) che vivono tra l'Africa, l'Afghanistan e il Pakistan!!!Eppure i burocrati della Gnam sono anche peggio, perchè non hanno nemmeno il coraggio delle loro azioni, dei curatori della mostra, poi, sembra che non sappia nulla nessuno.

  • prima di tutto bisognerebbe chiedersi perchè Mascelloni Girard e Sarenco, che dichiarano di sapere da lungo tempo dei falsi della National Gallery, non sono intervenuti prima ed hanno invece atteso che si aprisse la mostra al Museo Andersen di Roma.
    Sembra quasi una trappola. Se il silenzio della Gnam e dei curatori è comprensibile perchè altrimenti verrebero definitivamente linciati da personaggi come Mascelloni e Sarenco che nelle provocazioni violente si trovano a proprio agio, cosa dire del silenzio della stampa specializzata? Dove sono i D'Amico , Grasso, Vettese, Pratesi...Non si è visto alcun loro intervento. Mascelloni si vanta di avere mandato una lettera all'Aica (associazione critici d'arte) in cui l'accusa di riunirsi al museo nel museo Andersen durante la mostra dei falsi Lilanga senza proferire verbo. Se avessero ragione Mascelloni a Sarenco sarebbe veramente grave!!La mostra di lilanga mi semra la mostra di un artista furbo che copia Keith Haring. Sarenco e Mascelloni hanno scritto che è stato Haring a copiare Lilanga!!Sentite questa: Mascelloni è tra i curatori di una mostra di Haring inediti(Skira) che si apre al Palazzo Reale di Monza la prossima settimana. Che c'è sotto?Esiste davvero Lilanga? Mascelloni e Sarenco li ho conosciuti mentre distribuivano opuscoli pro-serbi alla Biennale di Venezia durante la guerra del Kosovo!!!

  • sono diventata un'ammiratrice di mattioli. Il suo servizio sui Lilanga falsi è giornalismo d'inchiesta che nell'arte(e forse anche in altri settori) non esiste più. è stato bravissimo, i luminari della stampa italiana dovrebbero vergognarsi..viva exibart!!

  • la signora lauraB sarebbe cosi' cortese da spiegarmi il rapporto tra Lilanga e i volantini sulla Serbia? Uno che distribuisce volantini, magari criticabili, e' necessariamente un diffamatore? Questa e' logica idiota, mi voglia perdonare. Per il resto il suo commento basta a se' stesso, la qualifica pienamente.

  • interessante inchiesta, nella quale l'unica cosa che valga la pena approfondire è il comportamento, soprattutto dopo la notizia, dei responsabili del museo, finanziato da fondi pubblici. il loro silenzio, oltre che inaccettabile, è sospetto. per il resto, nessuno dei personaggi coinvolti appare cristallino, poiché la lettura dei documenti da Voi allegati - molto opportunamente - pone dubbi e rivela comportamenti discutibili da parte di tutte le persone coinvolte, comprimari e mezze tacche sui quali sarebbe opportuno stendere un velo pietoso, visto che con l'arte non hanno nulla, ma proprio nulla a che fare.

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