IL RITORNO DELL’ARTIGIANO

di - 24 Novembre 2010
La
mostra di Maurizio Cattelan a Milano
diventa un’ottima occasione per riflettere sul mestiere dell’artista a cavallo
del nuovo secolo.

A
partire dagli anni ‘90 la grande fortuna avuta dall’arte contemporanea ha
prodotto senza dubbio profondi cambiamenti non solo strutturali, ma anche nei
suoi protagonisti ed eroi. Che si sono dovuti confrontare con i nuovi scenari
globalizzati, quelli stessi profetizzati da Jean-François Lyotard già alla fine
degli anni ’70, caratterizzati dalla crisi delle “grandi narrazioni” e
dall’arretramento degli stati-nazione a vantaggio di nuovi equilibri
trasversali governati dall’economia.

Tramontata
definitivamente l’idea classica dell’artista demiurgo che assomma in sé
l’artigiano e il divino, la pratica e l’idea, un nuovo individualismo conduce
l’artista a farsi protagonista diretto delle nuove dinamiche dell’arte dominata
dal mercato, secondo logiche di carattere imprenditoriale.

L’impresa
d’artista è molto distante dalla “bottega” di classica memoria, che si fondava
sull’apprendistato e sulla trasmissione di competenze dal maestro verso gli
allievi. È più simile a un’azienda che individua le competenze necessarie al
raggiungimento di obiettivi strategicamente definiti.

Nel
2008 il Guardian pubblicava un
interessante articolo sull’industria che si muove intorno al mestiere
d’artista. Qualche esempio? A Brighton la Millimetre è una vera e propria fabbrica
a disposizione per la realizzazione dei più disparati progetti artistici.
Dietro gli animali imbalsamati di Damien
Hirst
c’è lo studio di Gloucestershire gestito dall’inseparabile assistente
Emily Mayer, mentre Tristan Simmonds è l’ingegnere e progettista che ha reso
possibili le idee di Antony Gormley
o Anish Kapoor. Si dice che se
qualcuno tirasse una bomba sullo studio di un oscuro personaggio nominato
Michael Smith il volto dell’arte contemporanea britannica ne uscirebbe
stravolto. Dal suo lavoro dipendono infatti artisti come Rachel Whiteread, Gary Hume,
Gavin Turk, Keith Tyson, Jake &
Dinos Chapman
, Max Wallinger.


Tra
agenti e dealer, assistenti, progettisti e artigiani che realizzano le loro
opere, la figura dell’artista che unisce il genio all’abilità e al virtuosismo
tecnico è un’astrazione oggi molto distante dal vero. La spiegazione è persino
banale: per un artista di media fama, con un mercato internazionale, il numero
di opportunità di esporre i lavori supera la sua capacità di produrli.

Certo
l’idea di un’arte pianificata, programmata sulla scorta di scelte strategiche
che sembrano avere più affinità con il marketing che con una qualche forma di Weltanschauung non è propriamente affascinante, ma
di fatto ha rappresentato perfettamente quello che si è voluto definire “nuovo
Rinascimento”, un’epoca che ha portato l’arte a specchiarsi nel suo mercato.
Probabilmente il Damien Hirst più interessante non è tanto quello che squarta
gli animali ma piuttosto quello che organizza un’asta dei propri lavori, o
quello che realizza l’opera più costosa del mondo. Ma potremmo citare il
gallerista al muro e la Wrong gallery di Cattelan e giungere fino al suicidio
del collezionista di Elmgreen &
Dragset
, solo per evidenziare alcuni esempi autoreferenziali che sembrano
introdurre, su altri fronti, produzioni seriali improntate a una sorta di
perpetuo autocitazionismo.

La
recente crisi dalla quale anche l’industria culturale mondiale sta
faticosamente tentando di risollevarsi ha pericolosamente intaccato non solo il
comparto economico, ma anche (e diremmo soprattutto) le strutture come i musei
e le pubbliche collezioni che in qualche modo dovrebbero fungere da garanti e
ammortizzatori, mostrando tutti i limiti di un sistema dell’arte dall’andamento
centripeto rispetto all’economia che certamente non ha risparmiato neppure la
figura dell’artista.

Forse
mai come oggi, anche dopo le sterili polemiche che hanno preceduto la mostra di
Maurizio Cattelan a Milano, la figura disincantata e cinica dell’artista degli
anni ’90 ci appare offuscata, quasi avesse perso di autorevolezza.


Nel
frattempo però, in altri contesti, sembra crescere una nuova sensibilità che
prova a reagire ai rigidi modelli imposti dall’economia, rivendicando il
riscatto della creatività applicata. Una sorta di neo Arts & Crafts che
però, a differenza del movimento che a cavallo tra XIX e XX secolo si opponeva
all’industrializzazione, non nasce in una cerchia intellettuale come quella di
cui facevano parte John Ruskin e William Morris, ma si muove dal basso, tra i
giovani e la gente comune.

Recentemente
è uscita in Italia la traduzione dell’opera del sociologo americano Richard Sennett dal titolo L’uomo artigiano (titolo
originale The craftsman, 2008) che
analizza dapprima la progressiva decadenza nel mondo contemporaneo
post-industriale della figura dell’artigiano, almeno nelle forme tramandate
storicamente, e celebra poi la sua rinascita in nuovi ambiti come la
tecnologia. Esemplare è poi l’esperienza di Matthew Crawford: smessi i panni
del colletto bianco a Washington, ha aperto un negozio di riparazione di cicli
e moto, riscoprendo il valore etico del lavoro manuale. Il suo libro di
successo, Il lavoro manuale come medicina
dell’anima
, rivendica la funzione sociale ed etica dell’artigianato.

Di
qualche anno precedenti sono le riflessioni di Charles Leadbeater: amateur
professionalism
è un
ossimoro creato dal teorico britannico, già consigliere di Tony Blair, per
definire tutto quel complesso di attività esercitate a livello dilettantistico,
prevalentemente nel tempo libero, le quali opportunamente coltivate,
indirizzate e organizzate possono fornire modelli alternativi di sviluppo
economico e produrre determinanti capitali culturali.

La
sua Pro-Am Revolution è il riscatto della creatività amatoriale dopo un secolo
di oscurantismo determinato dal mito della specializzazione estrema e della
gerarchizzazione dei saperi. Sono soprattutto le nuove tecnologie a fornire le
infrastrutture che servono e favoriscono la diffusione di questo fenomeno: i
social network, il peer to peer, gli open source, attraverso questi e altri
canali si generano community che condividono e si scambiano saperi vecchi e
nuovi, nei più disparati settori della creatività.

Quasi
a confermare questi spunti, Federico Rampini sulle pagine de La Repubblica qualche mese fa celebrava
il successo di Etsy che, con 724 milioni di visitatori al mese, è un portale
che dal 2005 si è posto come obiettivo il commercio e la diffusione di tutto
quanto si definisce handmade.

L’artista
contemporaneo negli ultimi decenni sembrava aver abdicato alle pratiche manuali
nel suo lavoro, di fatto privandosi in prima persona (e privando al pubblico di
conseguenza) di tutta una serie di valori che un tempo costituivano importanti
elementi di distinzione come la ricerca sulle tecniche, la sperimentazione
diretta dei materiali, l’esercizio e lo sviluppo di abilità, la perizia
artigianale e la pratica virtuosa. Non che questi siano scomparsi,
semplicemente sono stati demandati, differiti e delocalizzati.

Eppure
c’è chi intravede anche nell’arte i segnali di un cambiamento di rotta.
Recentemente, è parso significativo il progetto A basic human impulse della Civica Galleria di Monfalcone nel quale
Andrea Bruciati ipotizza, sulla scia di Sennett, un ritorno alle pratiche
artigianali e un dialogo più serrato con il design. Ancor prima, nello Spazio
Brown di Milano riflessioni sul concetto del “fare” hanno caratterizzato
progetti come Let’s forget about today
until Tomorrow
di Marco Tagliafierro o L’uomo
ridotto
.

È
possibile che siamo alla vigilia di un ritorno della manualità nell’arte?

A
rispondere positivamente anche un progetto padovano in corso, curato da Guido
Bartorelli e intitolato Art/Tube –
creatività a bassa risoluzione
, nel quale alcuni giovani artisti
contemporanei sono messi a confronto con gli anonimi creativi che affollano
YouTube: una sfida che si fa davvero dura.

articoli correlati

Il
dito di Cattelan secondo Giovanni Lista

Elmgreen
& Dragset alla Biennale del 2009

alfredo sigolo


*articolo
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Visualizza commenti

  • allora rettifico:
    arte è tutto e solo ciò che produce l'uomo per arricchire lo spirito umano.

    se tuo fratello ti arricchisce lo spirito con dolci parole la sua è arte consolatoria.

    il tramonto non è prodotto dall'uomo.

    sulla religione ho forti dubbi che sia stata creata per arricchire lo spirito umano. se così fosse puoi star certo che è un'arte.

  • @piero

    Ovviamente, quello che trovo interessante è il significato istituzionale, culturale di "arte". Non certo quello idiosincratico, tuo o di altri. La tua non è una teoria descrittiva, bensì normativa, ideologica: dici ciò che VORRESTI fosse arte, non ciò che E'.
    Il fantomatico carattere - tra l'altro soggettivo in sé (qualcuno può trovare arricchimento qualcun altro no) - di "arricchimento dello spirito" di cui parli, non solo, non appartiene a tutte le opere d'arte - chiunque fruisca di una qualunque opera d'arte ne fruirebbe per arricchire lo spirito?, dobbiamo fare un sondaggio per mostrare che non è così? - ma, anche, appartiene a "cose" che non vengono considerate opere d'arte.
    Ripeto, se poi per te le parole di mio fratello sono "opera d'arte" è un "problema tuo" (=è una tua personale concezione di arte), ma ti assicuro che esse non sono mai entrare in un museo, e non credo ci entreranno mai PER IL SOLO FATTO DI ESSERE ARRICCHIMENTO DELLO SPIRITO.

    @hm

    Vabbè, tu non scrivi una cosa sensata ed esatta che sia una, è inutile porsi in dialogo con te.

  • @svelarte
    sei tu a parlare di logica senza sapere cosa sia né averla mai studiata e interpreti in modo scorretto enunciati chiari come il sole, il disinteresse è reciproco. noto però che ora il tuo concetto di arte si è focalizzato in modo netto senza inutili speculazioni filosofiche, sei infatti interessato esclusivamente al significato ISTITUZIONALE d'arte (il che lascia intendere che non reputi arte tutto ciò che non rientra in un'istituzione) quindi ti avevo già risposto in modo esaustivo 4 commenti fa, questa è solo una ripetizione inutile (ovviamente dove non riesci a replicare preferisci il silenzio, tipico):

    -forse il caro svelarte nella sua frase carente di logica voleva semplicemente sostenere che se è artista colui che mediante gesto artistico produce arte NON SI PUO'SOSTENERE CHE E' ARTE MAINSTREAM RICONOSCIUTA DAI MUSEI tutto ciò che viene prodotto dal gesto artistico dell'artista, il tutto senza scomodare teoremi incompresi di logica matematica.-

  • caro svelarte,
    credo che piano piano iniziamo a capirci, nonostante i fraintendimenti che possono verificarsi via chat. l'ideale sarebbe parlare di persona.
    Comunque mi vedo costretto a precisare un punto determinante:
    hai chiesto di dare una definizione di "arte".
    l'ho fornita. e la ribadisco.
    ciò che scrivo non è , come dici tu, ciò che VORREI fosse arte, ma ciò che E' arte.
    ti invito ancora una volta a non interpretare le frasi che scrivo.
    hai scritto, per contrastare la mia definizione, che qualcuno può trovare arricchimento dello spirito e qualcun altro no. e sono d'accordo. ma io non ho scritto assolutamente che arte è cio che arricchisce lo spirito. se avessi scritto così avresti ragione a contestarmi.
    io ho scritto che arte è ciò che l'uomo produce PER arricchire lo spirito umano. poi che lo arricchisca o meno è un'altro discorso.
    se al risultato di un sondaggio appurassimo che
    non tutti ne fruirebbero per arricchire lo spirito (come giustamente scrivi tu) cio non inficierebbe in alcun modo la mia definizione.
    hai ragione pure quando scrivi che questa (in occasione di tuo fratello) è una mia personale concezione di arte. ed hai ragione quando dici che le parole di tuo fratello non entreranno mai in un museo (come farebbero? le parole non sono mica oggetti?). ciò non vuol dire che non siano arte. non ho mica detto che l'arte è ciò che trova posto nei musei?

    la mia è una teoria ideologica.normativa. ma è anche descrittiva. e resta valida fino a quando qualcuno non provi il contrario. o non dimostri in qualche modo che sia fallace.

    tu continui a tirare in ballo i musei. sembra quasi che tu abbia già chiara in mente la tua teoria descrittiva di arte: "ciò che trova spazio nei musei e nelle gallerie. ciò che non entra nei musei non è arte".

    in realtà non è per niente così. ti ripeto che musei e gallerie sono pieni di oggetti che con l'arte non hanno nulla in comune.
    e c'è tanta arte fuori dai musei e rifiutata dalle gallerie.

    ti invito a contestare la mia definizione con argomentazioni valide.

    per hm,
    per quanto riguarda la logica svelarte ha ragione. ti ha risposto in maniera esauriente e chiara. come avevi ragione tu sull'esempio del cuoco. per me siete uno a uno. :)

  • @piero

    Caro Piero, anche dopo questa tua correzione al mio fraintendimento non mi pare che le cose cambino. Voglio dire che non credo affatto che TUTTE E SOLO le opere d'arte siano state create per arricchire lo spirito. Anche se, bisognerebbe capire cosa tu intenda esattamente per "arricchire lo spirito".

    Le parole possono entrare in un museo, sotto forma di performance, sotto forma di scrittura ecc. Le Instruction Pieces di Yoko Ono sono proprio "parole", nel senso che il supporto che le esprime è del tutto irrilevante: è un'opera, per così dire, immateriale.

    Il mio riferirmi al museo era un modo per semplificare il concetto di "istituzionalità". Possiamo fare riferimento alla storia dell'arte, se vuoi. Insomma a tutto ciò che viene, in vari modi, assunto a patrimonio culturale artistico.
    Io osservo quello che, culturalmente, tramite i vari contesti artistici istituzionali (il museo è solo un possibile esempio), viene identificato come "opera d'arte", e cerco di capire cosa, tutte queste opere d'arte, abbiano in comune tra loro.
    Questo è un approccio DESCRITTIVO, appunto: un punto di vista che osserva la realtà e cerca di descriverla senza modificarla.
    Tu mi dici che la tua teoria è assieme normativa (ideologica) e descrittiva; non può essere entrambe le cose. Se tu mi dici che il principio ontologico definiente artisticità è il tentativo di "arricchire lo spirito" o esso è il principio di tutto ciò che è stato, culturalmente, definito "arte" - e allora assumeresti un punto di vista descrittivo - oppure non è così - e allora il tuo sarebbe un punto di vista normativo.
    Io propendo per la seconda ipotesi. Non credo affatto che ogni opera sia stata creata a tale fine; non solo, non credo che tutto ciò che è stato creato a tale scopo sia stato assunto dalla nostra cultura come opera d'arte.

    Ribadisco che l'unico principio in grado di "unire" ontologicamente tutte e solo le opere d'arte che noi, come soggetto collettivo, conosciamo come opere d'arte, è L'USO POLISEMICO. Tanto più che, assumendo tale principio, tutto può essere opera d'arte (e questo mi pare proprio l'orientamento attuale) perché tutto, in linea di principio, può essere usato concettualmente secondo polisemia.

    Un saluto

    PS: tra l'altro, il tuo principio è indimostrabile. Voglio dire che non è oggettivo. Chiunque producendo qualunque cosa potrebbe affermare: "l'ho prodotta cercando di arricchire lo spirito". Per questo diventerebbe artista? Mi pare un po' assurdo...

  • -per hm,
    per quanto riguarda la logica svelarte ha ragione. ti ha risposto in maniera esauriente e chiara. come avevi ragione tu sull'esempio del cuoco. per me siete uno a uno.-

    non ha assolutamente ragione, e la spiegazione è riportata sotto, o criticate punto per punto spiegando dove ho torto (impossibile visto che ho ragione) o è anche inutile intervenire. io ho criticato punto per punto e ho spiegato il torto di svelarte, voi non siete capaci, fine. le variabili non si possono usare a caso, se X è artista e Y è opera d'arte la doppia implicazione sussiste alla grande, infatti senza opera d'arte non esisterebbe nemmeno l'artista, farebbe un altro mestiere. è l'opera d'arte che definisce l'artista quindi la doppia implicazione vale al 100%. oltre a questo svelarte usa una terminologia sbagliata, non esiste scrivere 'se Y è l'effetto di X' non è corretto scrivere in questo modo, si nomina sempre la prima variabile 'se X implica Y' etc
    anzi mi rimangio anche quello che avevo scritto in precedenza dove avevo dato parzialmente ragione a svelarte adottando la sua terminologia errata ----> - inoltre il diallele si potrebbe avere solo nell'esempio contrario con X opera d'arte e Y artista (dire che X opera d'arte sia generata da Y artista non presuppone il fatto che Y artista sia generato da X opera d'arte, l'artista può esistere indipendentemente dal fatto che esista l'opera d'arte).-
    anche in questo caso con terminologia errata vale la doppia implicazione, visto che è l'opera d'arte che definisce l'artista e senza di essa non potrebbe esistere in quanto tale .

  • Introduzione alla logica (elementare)

    1. Le fallacie

    1.1 Definizione circolare ("circulus in definiendo" o "DIALLELON")

    Si ha una fallacia di definizione circolare (diallele), quando per definire un termine, si usa una locuzione nella quale ricorre proprio il termine da definire.

    esempio: un uomo è un animale che ha genitori umani.

    Questa fallacia viene affrontata confrontando il termine definito con l'ambito di definizione e mostrando che almeno uno dei termini definienti è il termine stesso da definire.

    La locuzione: "arte è ciò che viene prodotto dall'artista che è colui che produce arte" - semplificando e mantendendo intatto il valore di verità del'enunciato avremmo: "arte è ciò che viene prodotto da chi produce arte" - è una definizione circolare o diallele. Ricordiamo perché: si ha una falllacia di definizione circolare quando, per definire un termine (arte) si usa una locuzione (arte è ciò che viene prodotto da chi produce arte) nella quale ricorre proprio il termine da definire (il termine "arte" alla fine della proposizione).

    La doppia implicazione non c'entra nulla. Un esempio di doppia implicazione è:
    "Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma" la proposizione è vera, ma è vera anche la sua inversa "Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli".
    1) La forma logica della doppia implicazione non ha nulla a che vedere con quella del diallele.
    Nella doppia implicazione abbiamo un bi-condizionale. Per spiegarla in modo semplice un condizionale è una proposirzione della forma se...allora; un bicondizionale è un condizionale che vale anche invertendo i termini presenti nella proposizione.
    Nell'enunciato "arte è ciò che viene prodotto da colui che produce arte" non v'è alcun condizionale, alcun se...allora.
    2) Nell'esempio precedente si dà una definizione di parallelogramma come "quadrilatero con i lati opposti paralleli". E' ovvio che, come in tutte le definizioni, il termine da definire e la sua definizione si possono invertire: così come si può affermare che "un parallelogramma è un quadrilatero con tutti i lati paralleli", si può affermare che "un quadrilatero con tutti i lati paralleli è un parallelogramma".
    Ma, come si può notare, nella locuzione "Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma" o l'equivalente "Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli, CONFRONTANDO IL TERMINE DEFINITO CON L'AMBITO DI DEFINIZIONE, SI NOTERà CHE NESSUNO DEI TERMINI DEFINIENTI è IL TERMINE STESSO DA DEFINIRE, carattere, questo, del diallele; e carattere, questo, della definizione "arte è ciò che viene prodotto da colui che produce arte".

    Per concludere. La definizione circolare è una fallaccia in quanto ciò che si vuole dimostrare si da per assunto, e chi non conoscesse ciò che si vuole dimostrare continuerebbe a non conoscerlo. In nessun dizionario, infatti, si avrà mai una CIRCOLARITà DEFINITORIA del tipo: "arte" = ciò che viene prodotto dall'artista; "artista" = ciò che produce arte. Non servono tante lezioni di logica per capire che, in questo caso, chi non sapesso cos'è arte né artista continuerebbe a non saperlo.
    Diversamente dall'esempio di doppia implicazione in cui si da per assunto ciò che è un quadrilatero e si spiega semplicemente quali caratteristiche deve avere tale quadrilatero per poter essere definito "parallelogramma"; cosa che si può verificare geometricamente. Dopo aver letto in un dizionario "un parallelogramma è un quadrilatero con tutti i lati paralleli" io saprei benissimo come distinguere un parallelogramma.

  • guarda svelarte mi fermo alle citazioni di wikipedia giusto perchè non ho più voglia di risponderti, se le tue definizioni sono copincollate dal manuale di logica classica delle superiori e le tue conoscenze di logica si fermano lì non so cosa farci te lo assicuro:

    -per gli scettici proprio il sillogismo sarebbe un diallele perché colui che formula la premessa maggiore (per es. "tutti gli uomini sono mortali") ha concepito la conclusione ("Socrate è mortale") ancor prima della premessa e contenuta in essa.
    Un esempio di circolo vizioso è nel procedimento logico di cui si serve Cartesio per dimostrare tramite il metodo l'esistenza di Dio la quale a sua volta dimostra l'assoluta infallibilità del metodo.
    « Il pensiero che dimostra Dio e Dio che dimostra il pensiero » .
    Secondo altri interpreti questo circolo cartesiano non è vizioso ma positivo perché mostra la circolarità del pensiero che si serve delle conseguenze per giustificare, confermare, gli stessi punti di partenza. Quindi B è veramente giustificato da A e nello stesso tempo B giustifica la verità di A, delle premesse. Pensare che questo circolo sia vizioso è credere solo ad una logica aristotelica; il pensiero, come sosterrà Hegel, è armonico, dinamico al contrario di quello aristotelico, consequenziale.- (wikipedia)

    non so se ci hai fatto caso ma anche nel tuo esempio prediletto ripetuto in loop usi una locuzione nel quale ricorre proprio il termine da definire ---> "Se un quadrilatero ha i lati opposti paralleli allora è un parallelogramma" o l'equivalente "Se un quadrilatero è un parallelogramma allora ha i lati opposti paralleli" come si nota il parallelismo ricorre sia nell'ipotesi che nella tesi, infatti non si può definire PARALLELogramma un poligono che non abbia i lati opposti PARALLELI, così come non si può definire artista colui che non produce arte, mi spiace svelarte ma la tua conclusione è altamente fallace e insipiente .

    inoltre non penso abbia molto senso continuare a dialogare con un individuo il cui concetto di arte coincida esclusivamente con quanto viene riconosciuto dalle istituzioni, sorry .

    in conclusione questa chicca solo per te :

    Artista
    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
    Con artista si indica generalmente una persona la cui attività si esprime nel campo dell'arte.

    AHAHAHAAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHA ciao svelarte

  • caro svelarte,
    spero di essere chiaro.
    cercherò di fare un riassunto del mio pensiero per renderti partecipe del concetto che voglio esprimere. userò parole diverse per tentare di spiegarti e giustificare ciò che ho gia scritto in precedenza.
    parto con un esempio:
    prendiamo un dipinto ad olio su tela.
    dobbiamo giudicare se è arte o meno. ok?
    le possibilità sono solo due. o è arte o non lo è. le possibilità non sono tre. sono due.
    se non è arte è artigianato.
    la differenza sta nell'intenzione di chi realizza il manufatto.
    se tizio si sveglia una mattina e si mette all'opera con l'intenzione di dipingere per realizzare un quadro pensando che poi dovrà cercare di venderlo, se utilizzerà i suoi studi di marketing per realizzare un prodotto alla moda con tutte le caratteristiche più in voga, se insomma avrà un'idea ben precisa dell'utilizzo a cui la sua opera è destinata, allora NON produce arte, ma artigianato.
    se invece tizio si sveglia una mattina e si mette all'opera lavorando seguendo i suoi studi personali, filosofici, scientifici, lasciandosi trasportare dall'ispirazione, fregandosene delle mode, non tenendo assolutamente conto della destinazione commerciale, ne di altra destinazione se non quella culturale,spirituale, allora la sua è un'opera d'arte.

    l'artista è una figura professionale intellettuale. Così come per diventare medico, architetto, professore, avvocato, c'è bisogno di studiare molto, impegnarsi, dedicarsi per anni all'attività, allo stesso modo per diventare artisti bisogna studiare molto.
    una persona che siede in cattedra con l'unico scopo di guadagnare lo stipendio (e ce ne sono molti) non è un professore anche se viene chiamato così.
    il vero professore è colui che ha a cuore la cultura degli studenti. E' colui che si impegna a fondo cercando il metodo più efficace per ciascun alunno. E' colui che studia continuamente per tenersi aggiornato, che scrive libri per diffondere la sua conoscenza, non per guadagnare soldi.
    l'insegnamento (così come l'arte) non è una modalità d'uso.
    la definizione di professore non è: colui che siede in cattedra a scuola.
    così come la definizione di arte non può essere: ciò che trova posto nei musei.

  • per hm,
    il tuo ragionamento non fa una grinza.
    ma non soddisfa l'esigenza di svelarte. lui continua a non avere una definizione di arte che lo soddisfi.

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