LA VARIANTE DI LUNEBURG | (CON SCACCO AL DIRETTORE)

di - 16 Febbraio 2010
Nessuno lì per lì ha avuto il
coraggio di fiatare, o non ne aveva la forza: una risposta fisiologica a uno
stimolo imbarazzante. Si sa, talvolta le bocche si esprimono anche quando non
emettono neppure una vocale. Stupore, meraviglia, panico, groppo in gola, c’è
da vedere. Nulla di tragico, beninteso, a Vienna, solo qualche scossa a
sorpresa sulla scacchiera delle arti.
Nel vivace e competitivo ambiente
dell’architettura, la nomina dell’architetto californiano Eric Owen Moss quale curatore del padiglione
austriaco alla prossima edizione veneziana della Biennale di Architettura ha
lasciato molti a bocca aperta e qualcuno a bocca asciutta. Proprio così, né
parole né saliva, tantomeno una strofa di California dreamin’. Solo bocche intorpidite
all’annuncio di un curatore americano, legato, come Frank Gehry, alla poetica della cosiddetta
Scuola di Los Angeles. E, invero, con ottime relazioni viennesi, tra cui gente
di rango come Hans Hollein e Wolf Prix, l’anima utopica dello studio Coop Himmelb(l)au, entrambi già titolari, in
passato e in epoche differenti, dell’ambitissimo incarico. Sì, ambitissimo,
roba che fa gola a molti loro colleghi connazionali. E invece niente. Poi dici
che qualcuno ha trovato l’America!
Già, proprio l’America, come Edelbert
Köb, da otto anni apprezzato direttore del MuMoK, l’istituzione che è il fiore
all’occhiello del rinomato MuseumsQuartier di Vienna. Stava proprio là, in
America, quando la ministra austriaca della cultura, senza tanti giri di
parole, ha dichiarato pubblicamente che per lui nel 2010, allo scadere del
contratto, non ci sarebbe stato alcun rinnovo. Un annuncio che al bravo Köb ha
lasciato – tanto per rimanere in tema – non poco amaro in bocca, non solo per
la cosa in sé, ma per la modalità fuori dai canoni. Nonostante l’età ormai
pensionabile, per lui sembravano nell’aria un paio di anni di proroga e la cosa
non avrebbe certo dato luogo a mugugni.
Pazienza, lui è tornato, ne ha
preso atto definitivamente e in una recente conferenza ha rievocato il
curriculum della sua gestione, le tante esposizioni, spesso di primissimo piano
grazie anche a solide relazioni internazionali, le importanti acquisizioni per
la collezione dell’annessa Fondazione Ludwig… Poi, annunciando l’agenda
espositiva dei prossimi mesi, ha evidenziato l’attuale rassicurante stato di
salute del museo, che nel 2009 ha staccato 241.300 biglietti. Ma a molti piace
ricordare come il defenestrando Direktor abbia saputo imprimere vitalità anche
alle plumbee pareti esterne del MuMoK utilizzandole, non di rado, come luogo
“metafisico” di audaci installazioni che hanno trovato la loro ragion d’essere
in una sorta di “quinta” dimensione sottratta alla logica e alla legge di
gravità. Come in occasione della storica personale di Erwin Wurm o di China-Facing Reality, la sorprendente panoramica sugli
artisti cinesi.
Così, mentre ci si chiede quale
strategia stia dietro al preventivo colpo di ghigliottina, già si son fatti
avanti ufficialmente molti pretendenti, più di una trentina. La prima fila,
misurata sull’esperienza, è al femminile e la favorita sembrerebbe Ingried
Brugger. Una lunga carriera al Kunstforum di Bank Austria, prima all’ombra del
direttore Klaus Albrecht Schröder poi, quando costui è passato all’Albertina,
l’ha condotto in prima persona con costanti buoni risultati, anche su un piano
di visibilità internazionale.
Ma sul MuMoK la commissione
ministeriale sembra propensa a una mossa a sorpresa, si dice una variante
rischiosa giocata su un giovane. Siccome, peraltro, sull’argomento ognuno
vorrebbe dire la sua, e poi finisce col dirla, si è fatto sentire anche
l’intraprendente veterano Peter Noever, magnifico (di-)rettore del Mak, il
quale non ha fatto nomi, ma si è pronunciato decisamente a favore di un
“direttore radicale”. Si riferiva forse a se stesso?
Quanto al Mak, Noever doveva
andare in pensione un paio d’anni fa alla scadenza del contratto, ma constatato
che lui non si strappava i capelli per andarci, l’incarico gli è stato
riconfermato fino al 2011. Contenti tutti. Chi dopo di lui? Buio totale,
nessuno osa davvero fare previsioni. A suo tempo una voce anonima, ma non
infondata, parlò di quel berlinese trapiantato a Vienna di nome Martin Roger
Buergel quando era sulla cresta dell’onda con la direzione artistica della
documenta 12 a Kassel. Anno Domini 2007. Ma Buergel parve eclissarsi subito
dopo quell’incarico, forse esageratamente criticato.
L’ottimo Daniel Birnbaum, che tutti conosciamo, ci andò
pesante, dall’alto di Domus lo sanzionò con una scomunica inappellabile. Nessuno è
perfetto, verissimo! Perché, in realtà, l’austro-tedesco è lontano dall’Europa,
ma ancora ben al centro dell’arte: nel 2008 ha assunto il ruolo di chief curator
al Miami Art Museum e, quando tra un paio d’anni verrà inaugurata la
promettentissima nuova sede creata dal binomio svizzero Herzog & de
Meuron
, Buergel
sarà lì tra i primi a gongolare sotto quei suoi baffetti alla Clark Gable. Il
Mak può attendere.

franco veremondi

[exibart]


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