LOVING SANT’ELIA |

di - 26 Febbraio 2009

Pare proprio essere questa la sorte degli spazi pubblici per l’arte, in Sicilia; questo il percorso obbligato riservatogli dalle amministrazioni: un percorso fatto di false partenze, inceppamenti, strane collusioni, improvvisi guizzi e successive disfatte.
Quasi che si mettessero d’impegno – assessori, presidenti e consulenti vari – per riservare il peggior destino possibile a tutti i mezzi-musei e i quasi-spazi culturali disseminati sull’isola. È una vicenda che si ripete, negli anni, con la stessa cadenza, le stesse premesse, gli stessi sviluppi. Una noiosissima e scandalosa routine.
Palermo è, in tal senso, un caso eclatante. Chiese e palazzi storici messi a nuovo a suon di quattrini: luoghi ritrovati, riemersi, recuperati (a volte parzialmente, e comunque molto lentamente), intorno a cui si raccolgono ogni volta speranze nuove e buoni propositi. Ma la musica è sempre la stessa, quell’insopportabile “bla bla bla” politichese che annuncia, preannuncia, prospetta e propina, senza mai portare a compimento un piano assennato, senza mai convertirsi alla normalità. Già, perché normale dovrebbe essere, per uno spazio pubblico, la definizione di un programma coerente e di respiro internazionale, l’individuazione di una destinazione d’uso, la messa a punto di una strategia culturale continuativa; normale dovrebbe essere l’impiego di adeguate risorse economiche per la gestione delle attività e la manutenzione degli edifici; normale dovrebbe essere, infine, la nomina di staff tecnici, comitati scientifici, direttori, curatori, consulenti di adeguato livello e accreditate competenze. Eppure tutto questo, in Sicilia, pare essere utopia. Quel “troppo” che ormai siamo abituati a non aspettarci, a non domandare nemmeno.
È accaduto con Palazzo Riso, protagonista di una triste odissea e per anni al centro di polemiche d’ogni sorta. Unico caso, finora, in cui un’inversione di rotta è di fatto avvenuta.

Intanto, le situazioni a dir poco precarie di altri luoghi istituzionali continuano a suscitare indignazione, dubbi, domande. Il complesso di Sant’Anna, Sant’Erasmo, Palazzo Ziino, i Cantieri Culturali alla Zisa, lo Spasimo, solo per citare alcuni esempi. Sono luoghi oscurati dalla miope disattenzione di chi amministra, luoghi affidati al caso, all’occasione, all’evento fortuito, luoghi senza memoria, orizzonte e direzione, privi di un’effettiva governance o vittime di poteri incancreniti, che escludono qualunque possibilità di verifica e alternanza.
L’ultimo caso, tra i più insensati, è quello di Palazzo Sant’Elia, bene storico della Provincia di Palermo, anch’esso con un tortuoso background alle spalle. Questo gioiello settecentesco, ingemmato nel cuore della città, finì sotto i riflettori già nel 2003, quando un allegro e pomposo evento dal titolo Aspettando il Guggenheim annunciò l’avvenuta nascita di un protocollo d’intesa tra la Fondazione Solomon Guggenheim di New York e una costituenda fondazione creata ad hoc dalla Provincia stessa; il tutto in vista dell’apertura, presso la splendida dimora palermitana, di una nuova sede italiana della celebre catena internazionale di musei.
Palermo come Bilbao, Venezia e Berlino? Trattavasi in realtà di un fittizio vernissage, un megaparty pre-elettorale che aiutò Musotto – candidato per la Presidenza della Provincia – a raccogliere consensi, seminando una forte aspettativa tra pubblico e stampa. Le polemiche, però, non mancarono: furono in molti a evidenziare l’inutilità di un’operazione colonizzatrice che importava al Sud d’Italia quello che da alcuni è considerato il McDonald’s dell’arte. Nessun dettaglio venne risparmiato: intervenne Philip Rylands, direttore del Guggenheim di Venezia; si parlò di un calendario di temporary exhibiton, facendo il nome di Luca Massimo Barbero come papabile curatore; si decantarono le bellezze dello spazio, immaginando sale per collezioni permanenti, bookshop, caffetterie, servizi d’ogni sorta. E si annunciò poi una momentanea chiusura per lavori in corso, nell’attesa di trasformarlo – come affermato da Maurizio Rotolo, a tutt’oggi responsabile del Palazzo – in un grande polo museale di stampo internazionale.
Sono trascorsi sei anni da quell’evento. E il sogno s’è dissolto, miseramente, come una gigantesca bolla di sapone esplosa, però, in silenzio. Niente Guggenheim, niente museo, niente fondazione. Niente di niente.
I lavori di ripristino, tuttavia, furono portati a termine. Costo dell’operazione? Novecentomila euro per il prospetto, quattro milioni per gli interni. Finalità e obbiettivi? Non pervenuti.
Nel 2007, finalmente, una prima vera mostra, che sposta il tiro rispetto alle iniziali intenzioni: non più arte contemporanea, ma un’esposizione sull’Ottocento dal titolo L’Hermitage dello zar Nicola I. Capolavori acquisiti in Italia. Un progetto non certo eccezionale, affiancato da un’altra mostra dedicata al mare: tema banale e range di nomi discontinuo (Guccione, Mitoraj, de Chirico, Guttuso…). Incomprensibile l’abbinamento, incerta la qualità complessiva.
Dopo l’ennesima chiusura – un altro anno di vuoto – ecco aprirsi uno spiraglio, per questo sfortunato luogo derubato di ogni dignità culturale e affidato al bieco criterio dell’improvvisazione. A giugno del 2008 inaugura España, grande esposizione sull’arte spagnola contemporanea curata da Demetrio Paparoni, che ospita significativi nomi della scena internazionale e opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private. A corollario, due personali, curate da Ida Parlavecchio, dedicate alla pittura di Francesco De Grandi e David Bowes, e un intervento di Mimmo Paladino. Una efficace iniziativa, dunque, e un contesto di tutto rispetto, che include attività e apparati didattici di livello.

Da quel momento in poi sembrò naturale – anche a seguito di certe dichiarazioni ottimiste rilasciate da Giovanni Avanti, nel frattempo Presidente della Provincia – che una definitiva “forma” andasse individuata per questo spazio: un direttore? Un curatore? Una programmazione? Una qualità costante e un taglio finalmente internazionale? Macché. Finita España, i battenti del palazzo chiudono di nuovo, nella più cieca indifferenza. Come se tutto, in questa caotica approssimazione, fosse assolutamente normale.
Ma se il silenzio è molesto, l'(ennesimo) errore diventa insopportabile. Lo scorso dicembre, un’altra contraddizione, un altro segnale che confonde, sterzando verso il classico: Il Settecento ritrovato propone opere riesumate dai caveau di Palazzo Abatellis, finora mai esposte al pubblico. Una mostra debole, confusionaria, discutibile sul piano progettuale e pessima su quello dell’allestimento (dall’improbabile period room del piano nobile allo sgraziato accostamento di oli e arte applicata, dalle ingombranti didascalie sparse in malo modo agli arredi grossolani, fino ai quasi inesistenti pannelli didattici). Per non parlare dell’inquietante commistione con la merce di un noto antiquario palermitano: cassettiere e specchiere d’epoca sono raggruppate in una sala all’interno del percorso espositivo, con tanto di etichette della ditta in bella vista.

E arriviamo al 14 febbraio, San Valentino, festa degli innamorati celebrata qui da una mostra con un titolo di beatlesiana memoria, All I need is Love. Dopo un timido tam-tam informativo, ecco un nuovo evento per il non-museo della Provincia, che va ad affiancare per soli dieci giorni la mostra sul Settecento. Desideria Burgio delle Gazzere, giovane artista palermitana, nonostante il magro curriculum e l’acerbo talento, ottiene lo spazio della Cavallerizza del Palazzo, inaugurato in luglio proprio dalla mostra di Paladino. Costeggiando un candido tappeto di confetti, contemplando banali fotografie dal gusto pop – in cui pupazzetti dei cartoon diventano metafora di un amore innocente e plasticoso -, scovando toppe di chiavi in cornice, bocce di vetro colme di fedi nuziali e torte mariage di ceramica sfracellate in terra… il dubbio non tarda a insinuarsi: l’edulcorata messa in scena dell’artista, ingenua nei contenuti e approssimativa nella forma, sarebbe forse risultata meno urticante qualora fosse stata accolta da una piccola galleria o da un qualunque spazio off. Ma perché Sant’Elia? Perché vedersi assegnare un luogo istituzionale che è per altro da anni al centro di polemiche, auspici e critiche al vetriolo? Perché questo opening col pedigree, assai simile a una festa privata, in cui ospiti dai nobili natali si tuffano tra vassoi di bon bon e cioccolatini?
Una lettera aperta, sottoscritta da alcuni cittadini – intellettuali, critici, artisti – è stata pubblicata sull’edizione locale de La Repubblica all’indomani di questa nuova inaugurazione. Una lettera di protesta contro l’irresponsabile gestione dello spazio: quello di Burgio, assieme all’episodio del Settecento ritrovato, non è che l’ennesimo casus belli, un pretesto per evidenziare le solite anomalie, i soliti meccanismi guasti. Il museo come il motel a ore: scegli, prenoti e ti installi. Ma quali sono le commissioni che selezionano i progetti? Quali i criteri? Chi dirige? Dove sono i programmi e le professionalità? Dov’è la trasparenza? Quale il nome e cognome della persona che dice di sì o di no?
Chi vuole, e soprattutto chi può, sfrutta le maglie deboli del sistema per auto-promuoversi, divenendo infine vittima del sistema stesso.
Allora la domanda definitiva è: che ne sarà di Palazzo Sant’Elia? Quante altre mostre sbagliate, incongruenti o traballanti dovremo sorbirci, prima di ottenere un museo con tutti i crismi, gestito da professionisti e sostenuto da un programma continuativo e rigoroso?
Il Presidente Avanti ha di nuovo tirato fuori, qualche mese fa, la parolina magica: “fondazione”. Quella che, a quanto pare, si vorrebbe mettere in piedi per gestire i beni storico-artistici della Provincia, in particolare l’edificio di via Maqueda. Al momento, altro non è dato sapere. Che forse questa storia della Fondazione, nell’aria già dai tempi del Guggenheim, funzioni come una sorta di scudo dietro il quale occultare incompetenza e ignavia? Noi, va da sé, ci auguriamo che non sia così, e che presto una parvenza di struttura museale inizi a intravedersi nella generale foschia. Ché sì, siamo tutti bisognosi d’amore, ma in certi luoghi “all we need is art”.

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helga marsala




Palazzo Sant’Elia
Via Maqueda, 81 – 90133 Palermo
Info: provinciapa@libero.it; www.provincia.palermo.it


[exibart]

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  • l'italia va a rotoli e ringrazio se ce' chi mi informa e protegge dai malaffari dell' iquinamento culturale e politico.
    In un momento dove giusto e normale e' il tirare acqua al proprio mulino e il difendere gli amici soprattutto quelli sporchi e potenti.
    In un italia dove é uso comune dire non vedo non sento non parlo.
    E dove chi parla e dice il vero e' fottuto, preso per pazzo, vedi Grillo per es.
    e invece a Palermo bravi tutti.
    Ho saputo della vicenda e sono rimasto sbalordito che dalla mia amata sicilia partono lezioni di educazione civica.
    Quella sicilia che tutti indicano come ultima spiaggia del pensiero civile e della correttezza.
    E che invece si dimostra terra di gente libera vera pronta a lottare.

    bravi bravi bravi.

  • Concordo pienamente con quanto scritto in questo articolo. Nutro un amore profondo ed appassionato per Palazzo Sant'Elia non soltanto per il suo valore storico-artistico ma anche perchè ho avuto la grande opportunità di lavorarci (e di questa esperienza ne andrò sempre fiera). Per tanto quando ne sento parlare è un po' come se qualcuno stesse parlando di casa mia e mi dispiace profondamente vedere come un luogo dall'enorme potenziale come questo, per l'incapacità ed il lasser faire dei politici, venga abbandonato al proprio destino. L'ultima mostra, quella sul 700 ritrovato è stata, a mio avviso, una grande sconfitta e un passo indietro notevole rispetto ad Espana. Sconfitta per chi, a differenza di quanto si possa pensare, ama realmente questo palazzo e un po' come tutti noi vorrebbe portarlo ai massimi livelli ma purtroppo non ricopre la giusta autorità per potere cambiare le cose. Sconfitta per il mondo dell'arte, sconfitta, ennesima, per la città di Palermo. Sicuramente è previsto qualcosa per i prossimi mesi ma come al solito tutto ancora brancola nel buio. Ormai non nutro più nessuna fiducia, ma credetemi io c'ero, per quei lunghi e caldi quattro mesi lo scorso anno, e tutti i giorni, qunado entravo nelle sale del palazzo, avevo la piacevole sensazione di trovarmi in un museo al pari dei migliori d'Europa. Spero tanto che questa sensazione possa ripetersi...ma chissà.

  • la lunga lista dei commenti mostra che c'è il bisogno di affrontare temi scottanti. la Sicilia, come l'Italia intera, vive nel lassismo generale per colpa di alcuni ( o forse di molti) che non vogliono che le cose cambino. E' un dato di fatto, come è anche vero che c'è chi non ne può più di sottostare a questa staticità che sta uccidendo una nazione. dobbiamo denunciare ciò che non ci sta bene, e dobbiamo sostenere persone come helga che hanno il coraggio di fare da portavoce. qui il problema non è la mostra dell'artista emergente, il problema sta nelle istituzioni che non funzionano.

  • Wittgenstein diceva "Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere". Così dovrebbero fare tutte quelle persone che parlano della mostra della Burgio senza essere andati di persona a vedere la mostra de visu.
    In secondo luogo chi ha tutto questo tempo da perdere per scrivere acidi commenti evidentemente parla perchè avrebbe voluto spendere il proprio tempo per amministrare la malandata 'cosa artistica' palermitana, ma da nessuno è stato chiamato, sicuramente perchè il di lui talento non è stato ancora scoperto.
    Sarebbe meglio fare che criticare chi invece fa in silenzio qulacosa e chiede come è suo diritto uno spazio per potere mostrare le proprie opere, che piacciano o o no.

  • Cara Elena, senza scomodare Wittgenstein - che, ti assicuro si riferiva a ben altro. Ma non vorremo addentrarci in questa sede in una discettazione filosofica intorno ai limiti del linguaggio – ti dico: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire! Ma possibile che si continui a spostare la questione (a bella posta?) su di un piano così irrilevante? L’articolo di Helga Marsala parla chiaro. Basta leggerlo con attenzione, anzi, con onestà! Cosa vuol dire “chi ha tutto questo tempo da perdere….”??? Secondo te sono dei perditempo quelli che levano una voce sul diritto a una programmazione culturale che restituisca le nostre istituzioni museali a una dignità? Che rivendicano il normale diritto a confrontarsi – per qualità di eventi, coerenza di contenuti, efficienza organizzativa, sullo stesso livello di analoghe istituzioni all'estero? Secondo te è un perditempo chi impiega intelligenza ed energie per porre all’attenzione un problema tanto eclatante come quello della sciatterie, del pressappochismo e del clientelismo becero della nostra amministrazione addette alla cultura? Beata te che evidentemente il tempo lo utilizzi in cause più proficue, magari anche tu coltivando il tuo presunto talento e tentando di piazzarlo da qualche parte, senza rispetto per nessuno. Per te, come per molti altri che contribuiscono più o meno consapevolmente a mantenere lo stato attuale delle cose, è più comodo così. In questa città indolente, che preferisce sprofondare nel morbido sofà del plauso salottiero, che vorrebbe leggere solo vacue e compiacenti recensioni di circostanza, senza obiettivi, senza contenuto all’infuori di un esercizio di parola, ancora più provinciale e autoreferenziale di certi pseudo-eventi d’arte, tutto deve essere mantenuto così affinché nulla possa evolvere verso una vera crescita sociale, prima ancora che culturale.
    Per favore, abbiate onestà – e dignità - spingete lo sguardo sul vero, scottante problema: quello delle NOSTRE ISTITUZIONI.

  • Seguo questa polemica accesa dall’articolo pubblicato su Repubblica. Leggo spesso exibart, dunque sono venuta a conoscenza degli sviluppi successivi della questione. All’inizio non ho voluto commentare perché sono una persona seria, ma adesso leggendo le parole pesanti che sono state scritte, mi sembra arrivato il momento di dire la mia. Conosco benissimo Desideria Burgio, posso definirla una cara amica, la conosco sia dal punto di vista umano che professionale.
    Non voglio entrare nel merito dell’articolo su Palazzo Sant’Elia, anche perché è stata denunciata una situazione già nota a tutti, vigente nel mondo dell’arte e non solo a Palermo. Molto probabilmente chi scrive e chi commenta non è perfettamente a conoscenza di come sono andate le cose riguardo la mostra All I Need is Love inaugurata il 14 febbraio alla Cavallerizza di Palazzo Sant’Elia, perciò mi sembra doveroso chiarire alcuni punti e far luce su questioni delicate che vengono sopra affrontate.
    Innanzi tutto Desideria Burgio (coordinata dalla sua curatrice romana) ha presentato un regolare progetto alla Provincia Regionale di Palermo richiedendo uno spazio inutilizzato da sei mesi, nel quale non vi era prevista alcuna programmazione futura.
    Cosa ancora più importante, la mostra è stata interamente finanziata dall’artista, per cui lo sperpero del denaro pubblico per scopi personali, che ha suscitato tanta indignazione, in questo caso non si è verificato.
    Inoltre, ultima puntualizzazione, la maggior parte dei firmatari dell’articolo pubblicato su Repubblica e dei commentatori qui su exibart non ha visitato la mostra, dunque mi sembra sterile e inutile parlare di ciò che non si conosce.
    Io dico condanniamo le istituzioni se e quando è giusto farlo, lottiamo per portare avanti le nostre idee, ma non strumentalizziamo le persone usandole come capro espiatorio per denunciare le cose che non vanno. Riflettiamo su chi realmente colpisce quest’articolo. Il presidente della Provincia di Palermo continuerà a dormire sonni tranquilli, e non sarà certo questo scritto a scuotere il sistema. Forse sarebbe più saggio agire per cambiare le cose, avere il coraggio di proporre nuove idee; parlare, fare polemica e denunciare a lungo andare potrebbe risultare completamente inutile, se non accompagnato dall’azione.
    Riguardo Desideria Burgio, non vedo la necessità di chiamarla in causa in questa sede, invischiandola in meccanismi politici che allontanano dal vero significato di Arte, nel senso più alto del termine.
    Dimenticavo la cosa più importante, a me (e non solo) la mostra è piaciuta molto, finalmente qualcosa di nuovo e originale nel piattume generale che vige nel mondo dell’arte a Palermo.

  • cittadini italiani guardate anche cosa inaugura al palazzo ziino/
    oggi:
    Inaugurazione mostra PLENILUNIO FANTASTICO di Paola Romano a cura di Francesco Gallo.
    un'altra vergogna.

  • cara chiara hai scritto:Non voglio entrare nel merito dell’articolo su Palazzo Sant’Elia, anche perché è stata denunciata una situazione già nota a tutti, vigente nel mondo dell’arte e non solo a Palermo.
    Quindi la signorina che ha esposto sapeva delle tenzioni riguardanti lo spazio S'Elia e senza fregarsene dei discorsi di tenzione sulla malagestione si va a prendere il suo spazio inutilizzato da sei mesi.
    Certo che era inutilizzato e lo sapevano tutti e sentivo agitazioni crescere gia dalla fine di ESPANA e stavo cercando anche io come tutti a reagire a questa vergogna .
    E invece per qualcuno e' stato giusto utilizzarlo per il proprio bisogno infischiandosene delle lotte degli altri.
    poteva anche dire " sant'elia e' inutiliazzato perche non parcheggiarci il motorino dentro".
    Gli imbrogli della provincia ai cittadini palermitani non mi interessano mi interessa più san valentino.

    E' l'ennesimo commento tristissimo che a mio parere cerca di attenzionare il nome della giovane artista e rendere inutile l'attivismo di chi attenziona " il problema gestione Sant'elia" che tu ammetti di conoscere da tempi lontani pensando giustamente di reagire contro chi cerca di riparare e contro chi denuncia certe macagne.

    Chi fa arte dovrebbe piu che esaltare il proprio ego stare attento ai propri doveri civici.
    E' adesso, qui, con i vostri commenti, che state mettendo in cattiva luce l'operato della giovanissima espositrice.

  • Arrivo con molto ritardo alla lettura di questo articolo ma, purtroppo, a distanza di più di un anno non è cambiato praticamente niente ed il mio commento è ancora pertinente. Ho 29 anni, mi sono laureta al DAMS (vecchio ordinamento) in 4 anni, con il massimo dei voti e pubblicazione della tesi (ho fatto da autista per un anno alla mia prof. che mi garantiva un dottorato che non ho mai vinto). Ho all'attivo 2 master in gestione dei Beni Culturali, scrivo da anni gratuitamente critiche e recensioni, ho fatto da assistente al curatore per innumerevoli mostre mal pagate o non pagate per nulla (anche all'estero), sono stata gallerista per 2 anni, ma non amando la commercializzazione dell'arte ho deciso di seguire la mia strada scrivendo un paio di progetti. Con questi mi sono presentata a Palazzo Comitini nella speranza di potere ottenere come sede alle mie mostre Palazzo S.Elia. Mi ha ricevuto la segretaria del capo di gabinetto che mi ha velocemente liquidata dicendomi che la programmazione è fittissima fino al 2012 ... Non credo ci sia molto da dire ... Guardo i siti dei musei di tutto il mondo in cui è sempre presente il link JOB in cui vengono elencate le posizioni vacanti per cui mandare i CV ed i musei palermitani!?!?!? Come cavolo avviene questa selezione???? Ho sentito chiamare curatori persone che hanno a stento il diploma e che non hanno mai aperto un libro d'arte. Sono una persona fortunata, benestante di famiglia, vi assicuro che di conoscenze e numeri di politici che conosco a cui chiedere favori ne avrei ... Piuttosto mi uccido! Non mi resta che guardare questo sfacelo e lasciare diventare un hobby la professionalità e la passione che da 12 anni ho coltivato ogni giorno.

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