PIOVONO COMMENTI

di - 27 Ottobre 2010
Come si fa a parlare bene delle cose che tutti

si aspettano che tu ne parli bene? Mi metto

a ridire quello che dicono già tutti? Neanche

se m’ammazzi. E poi ragioniamo: ma se già lo

dicono tutti, che me lo chiedi a fare a me?

Se me lo chiedi a me – m’è disgraziatamente

capitato di pensare ogni volta che dava il tema –

è perché evidentemente vuoi un’opinione personale.

E io gliel’ho data.

Antonio Pennacchi, Il Fasciocomunista (2003)

Exibart è per molte ragioni un punto di osservazione
privilegiato, un’isola felice e indipendente nel panorama desertificato del
giornalismo italiano (specializzato e “generalista”). Non so se ve ne siete
accorti, ma qui possiamo parlare praticamente di qualsiasi cosa ci passi per la
testa, affrontare qualsiasi argomento e da qualsiasi punto di vista, il che, di
questi tempi, non è affatto poco.

Perciò, non è forse peregrino provare ad analizzare quel
fenomeno misterioso e affascinante che sono i commenti agli articoli che
vengono pubblicati sul sito di Exibart. Soprattutto perché sembrano riprodurre in scala
altri fenomeni più ampi, complessi e difficili da cogliere. Occorre partire da
una confessione personale: da quando leggo e scrivo per questa testata, i
commenti in calce alle news e ai pezzi più stuzzicanti sono la prima cosa in
assoluto che vado a guardare. E lo faccio più di una volta al giorno.

C’è di sicuro una componente preoccupante di voyeurismo in
questa pratica, che però so di condividere con alcune migliaia di lettori. Ma
da un po’ di tempo c’è anche qualcos’altro. È un aspetto da sempre presente
nello sviluppo dei commenti, ma che ultimamente si è fatto molto più evidente
e, per certi versi, illuminante. I commenti, infatti, partono quasi sempre –
ma, è bene sottolinearlo fin da subito, non sempre – dall’oggetto in discussione,
dalla notizia o dall’opinione, e poi… deviano, e sembrano andare alla deriva. Fateci caso anche voi.

Ho aspettato un bel po’ prima di scrivere questo articolo,
perché volevo essere innanzitutto sufficientemente sicuro del fenomeno prima di
rivolgere lo sguardo dal mondo esterno a quello interno della rivista (ma qui
la linea di confine tra realismo e introspezione tende a farsi confusa e
sfumata…). Questa sicurezza non è venuta – e già qui rilevo un ottimo spunto
per i commenti – ma l’articolo ho iniziato a scriverlo lo stesso.


Dunque, il fenomeno. Questa deriva è qualcosa che non si
verifica a ogni pie’ sospinto. Ci sono infatti articoli assolutamente degni di
nota che vengono bellamente ignorati dal tornado, e altri piuttosto
trascurabili che entrano inspiegabilmente nell’occhio del ciclone, per
rimanerci fino alla puntata successiva. Anzi, qui si può già rintracciare una
prima regola: normalmente gli articoli più importanti non hanno quasi nessun
commento, mentre quelli meno rilevanti ne hanno una caterva. E, da questa
regola, discende direttamente la seconda: gli articoli significativi e
non-commentati trattano di solito di cose significative, che hanno a che fare con la
realtà e con la nostra vita, mentre quelli iper-commentati trattano
generalmente, o quantomeno lambiscono, le beghe e le “baruffe chiozzotte” del
micromondo dell’arte, meglio se quello (micro-micro) italiano. Piccole guerre
di posizione, scaramucce finte, schioppettate da niente. Tutto nella migliore
tradizione nazionale: ignorare i problemi serissimi e prioritari per
concentrarsi sulle questioni più astratte, sulle dichiarazioni d’intenti, sui
sentimentalismi deviati e sui trionfalismi ingiustificati. Qualunque cosa, pur
di evitare accuratamente la realtà, l’analisi seria, lo studio attento e
disincantato.

Dicevamo della deriva. Se vi fermate a osservare un
momento la “lista” in fondo all’articolo (preferibilmente una di quelle lunghe,
tra i 20 e i 40 commenti), noterete che a un certo punto l’analisi (per quanto
rozza) dell’argomento sfuma e lascia il posto alle affermazioni perentorie, al
pro-e-contro, all’accusa e alla legittimazione (aprioristiche, ovviamente,
entrambe). Questa polarizzazione è un’illusione. Non solo non ha nulla a che fare
con la discussione o il dialogo, ma neanche con il monologo. Questi statement sono piuttosto simili a “sassi”
(o sanpietrini che dir si voglia) lanciati nel corso di una manifestazione d’antan. Il sasso equivale a un messaggio
categorico e speranzoso, del tipo: “Io sono qui, adesso”. Meglio ancora: “Io esisto, qui e adesso (e ve lo
scrivo, dicendo la mia su tutto e costringendovi a prenderne atto. Avete
capito?)!
”.

Ancora più interessante è il fatto che queste affermazioni
letterali vengano espresse in forma anonima. Fatto che personalmente non
trovo per nulla contraddittorio: o meglio, la contraddizione e l’ambiguità
insite nel rapporto tra dichiarazione identitaria e anonimato non solo sono
perfettamente ammissibili, ma sono connaturate allo spirito di questo tempo, in
cui all’elisione continua del Sé corrisponde un desiderio smodato e
naturalmente etero-diretto di esposizione-esibizione.

Per cui, una volta stabilite le necessarie distanze e
differenze, è possibile davvero iniziare a riconoscere un’analogia
(preoccupante?) con i tardi anni ‘60 e soprattutto con gli anni ‘70. Il
processo che regola i commenti di Exibart – e di qualunque altro medium informativo 2.0 –
sembra infatti essere analogo a quello che regolava la mitica “assemblea” (è
significativo in proposito come sia tornato prepotentemente in auge il polveroso termine
“dibattito”…). L’illusione è che tutti possano esprimere la propria opinione
e discutere democraticamente (“presa della parola”), a un livello paritario e
antiautoritario. Il risultato è, però, un casino infernale.

christian caliandro


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper
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Visualizza commenti

  • @LorenzoMarras: caro Lorenzo se mi leggi assiduamente (e di questo ti ringrazio) conoscerai, di certo, ciò che io sostengo circa l'essenza dell'arte.
    Tu ora ti rivolgi a me, ma capisci che interloquire significa prendere in considerazione ciò che qualcuno afferma (se lo ha fatto prima) e da tali affermazioni prendere le mosse per confermarle o infirmarle. Se tu, in due parole per di più, mi "esponi" la tua idea di arte senza argomentazione alcuna né, tantomento, controargomentazione della mia tesi, io non posso far altro che prenderne atto; ma il dialogo, in tal modo, non s'avvierà mai.

    Se qualcuno sostiene A, io sono abituato - allorché non concordi - a sostenere nonA e poi, eventualmente, a sostenere (argomentando, possibilmente) B. Diversamente ognuno fa un proprio monologo; cosa del tutto lecita ma, allora, è inutile rivolgersi - a inizio commento - a coloro che sono intevenuti prima. Non trovi?

    Un saluto.

  • ecco la differenza tra arte e artigianato:
    l'artigiano esegue un manufatto con l'intento di raggiungere uno scopo ben preciso. ad esempio un falegname realizza un'armadio sapendo che avrà la funzione di contenere cose.
    l'artista invece non conosce e non può conoscere le destinazioni d'uso, le funzioni e le conseguenze del suo lavoro... della sua opera.

  • Svela-Arte carissimo, inpeccabile discorso come sempre il tuo; ho scelto di rivolgermi alla tua persona perche' cio' che tu scrivi mi ha fatto pensare E DIRE no piu' di chiunque (senza offesa per i chiunque del forum); riguardo il punto sulla essenza dell'arte io sarei potuto ricorrere ad un sistema di pensiero per prendere in prestito una idea o come correntemente si dice , un concetto con tutte le conseguenze che la impersonalita' dei concetti comporta : illusioni...consolazioni...e cosa ben peggiore certezze... Svela arte .... certezze intelletuali intendo . Ecco perche' ho accostato Arte, seppure provocatoriamente, a Follia come condizione di assoluta dimenticanza di se stessi ( come assoluta distruzione di identita' di s-oggetto dentro una gabbia metafisica)e dunque come rifiuto esistenziale ad una sicura etichetta per definirLa; in parole povere chi fa arte ... chi è artista non lo sa (va oltre l'arte come ovviamente IDEA di arte a te cosi cara).
    Un artigiano sa chi è, invece, non è un folle è semmai il medico dell'oggetto: in un a-priori teso ad osservare proporzioni simmetrie cromie CONVENZIONI che conosce attraverso i modelli della tradizione o della regola...è un puro non è contaminato dalla follia... lui e la cosa sono distinti seppure legati da una relazione che rivela l'interesse verso l'oggetto e non verso il mondo;
    l'artigiano nel fare si specializza ed è fiero di cio'.
    (dai all'aggettivo puro un significato strumentale e non moralistico...ovvero in sostanza puro nel FARE ).

    Ho preso lo spunto dalla tua domanda alla Curti per la sua natura , lascia che te lo dica, provocatoria perche' nella formulazione della stessa ho colto la possibilita' (detesto le certezze) che tu fossi a conoscenza delle piu' convincenti risposte (naturalmente soddisfacenti sul piano strettamente intelletuale).

    Penso che a questo punto la comunicazione sia posta e che le tue gradite confutazioni non mancheranno.

    Ti saluto caramente Svela-Arte

  • avete rotto con la dicitura "addetti ai lavori"
    l'arte è rivolta a tutti e tutti possono commentare. e il commento di un critico affermato ha LA STESSA importanza di quello espresso da un'analfabeta. possibile che non ci arriviate?

  • caro svelarte, anch'io sono interessato alla questione su cui dibattete. continuare via mail non è proprio carino, tenendo presente che, come me, ci saranno altre persone che leggono e che magari vorrebbero partecipare, leggendo e lasciando commenti. ci può sempre essere qualche persona interessante che potrebbe illuminarvi.

  • @cara cristiana curti
    -la mia "non verità" di questo particolare linguaggio non è concetto che investe la sfera morale, è pura constatazione della possibilità che il linguaggio qui usato (particolarmente quello insultante che, mi spiace per hm, non mi risolvo a considerare salutare o libero nel momento in cui lede la salubrità/dignità e il diritto a non essere insultato altrui) sia "virtuale". -

    il tuo ragionamento non è molto logico, nel senso che se il linguaggio è virtuale allora non può ledere alcuna salubrità/dignità altrui mentre se invece pensi il contrario devi ammettere che il linguaggio suddetto sia reale. in ogni caso ti consiglio di leggere -l'arte di insultare- di schopenhauer .

  • Mi collego all'omologo commento del Signor Marras comparso oggi 13.11 nell'articolo legato a questo. Anch'io alcuni giorni fa inviai ulteriori risposte ad alcuni amici qui riuniti. Per due o forse addirittura tre volte.
    Ma nulla apparve. Evidentemente ci furono degli "incricchi" in redazione. Non posso pensare che l'ipotetico filtro intervenga discriminando piane interlocuzioni.
    Ciò per segnalare l'eventuale intoppo e per sottolineare l'involontaria mia uscita dal dialogo che aveva un sapore comunque interessante. Bello finché durò.

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