PUNK77. HAPPY DIRT-DAY TO YOU |

di - 5 Luglio 2007

La parola punk, trent’anni fa voleva ancora dire muffa. In America era il nome di un fungo particolare che cresce sulla corteccia degli alberi. Un parassita vegetale usato per i fuochi d’artificio, perchè marcendo, seccando, se viene impregnato di una soluzione di salnitro e poi viene posato su una pietra focaia, si accende per reazione, facendo scintille. Col passare delle generazioni il punk, per catacresi linguistica, ha decantato diventando sinonimo di marcio e di cosa-di-poco-conto.
Tutt’oggi, a trent’anni esatti dalla prima ondata rivelatrice del movimento punk, le radici etimologiche di questo nome ricalcano, quasi su misura, il fenomeno più controculturale degli anni ‘70. Il termine nacque, come per un presentimento, fuoriposto. Uscì, per la prima volta, sulla copertina di una rivista americana, usato per etichettare alcuni gruppi garage emersi dalla scena rock della fine degli anni ‘60. Ma la prima applicazione di questo aggettivo sostantivato, come denotativo di una generazione dal futuro senza futuro, arrivò solo più tardi, nel 1977. È nel gennaio di quello stesso anno che, con la rivelazione, contemporanea e apolide, degli americani Ramones e degli inglesi Sex Pistols, il punk sobilla l’afflosciata scena musicale anglofona.
La stasi creativa dei primi anni ‘70 era solcata dagli spegnimenti inerziali dei rivoluzionismi hippie (quelli di Janis Joplin e di Jimi Hendrix), mascherati con le volute dei barocchismi glam psichedelico (dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd) e con gli alambicchi dei preziosismi progressive (dei Jethro Tull o dei primissimi King Crimson). Solo il rock resisteva come rebel-legend ormai fagocitato e metabolizzato dalle etichette discografiche che lo avevano reso un miraggio on stage, un accidente irripetibile, fatto di eccessi e meteore (dai Rolling Stones, ai Velvet Underground a Jim Morrison). A questo clima di de-cadenza indecisa, si aggiunse il crollo spontaneo degli ideali politici, quelli che avevano animato le masse giovanili e le proteste organizzate sul finire degli anni ‘60. Inoltre imperversò, proprio in quel periodo, una depressione economica che, specialmente in l’Inghilterra, vessò la gente a causa delle misure restrittive drasticamente imposte dai primigeni organismi bancari internazionali. In questo clima di attesa laburista e di ritorno abietto-benpensante, irruppero, aprendo breccia e creando accoliti, le turbe anarchico-naïve delle “pistole del sesso”. I Sex Pistols, la band-miccia di un fenomeno esplosivo che ancora oggi riaffiora senza mai scomparire del tutto. Una sottovena musicale che non esaurisce la propria linfa, quella fatta di riff ripetitivi e di urli parlati sopra testi non-sense.
La prima volta dei Sex Pistols, il loro primo incontro, mille volte leggendarizzato, ebbe ben poco di olimpico in sé, mentre fin dagli esordi si rivelò, precisamente, punk. I due leader del gruppo, Sid Vicious e Jonny Rotten (più propriamente Sid il Viscido e Jonny il Marcio) apparvero in una trasmissione televisiva del 1976, prendendo amabilmente per il sedere il presentatore, scaccolandosi davanti alle telecamere ed esibendo con orgoglio le creste dentellate che portavano appena al di sopra dei volti brufolosi. Da quel momento in poi, ingaggiati dal fidanzato di una giovane Vivienne Westwood, nel negozio di dischi della coppia, i Sex Pistols furono prima presi a contratto e poi venduti dalla EMI Records. Diventando l’occhio del ciclone di una nuova ventata di focolai musicali rivoltosi.
L’atteggiamento scimmiesco, palesemente anarchico e offensivo, il trucco sottolineato, la mancanza di spessore culturale, la droga e la violenza-per-la-violenza aggiunti ad una tecnica musicale praticamente inconsistente, furono qualità che fecero dei Sex Pistols una risposta sonora alla richiesta di nuovi, e finalmente marci, eroi. Su questa scia nacque il British Punk (detto anche Punk77 o più generalmente Punk Rock) e così anche i Clash, i The Damned, i The Vibrators, i Buzzcocks e poi, ancora, la regina buia Siouxsie e gli anticonformisti Stranglers (No more heroes anymore). I loro primi concerti richiamavano ragazzi non solo adolescenti, ma anche artisti bohemien e girovaghi di buona famiglia.
Ognuno di loro aveva fatto scendere i vecchi idoli dal piedistallo, per cercarne di nuovi, di più vicini e simili ad un futuro che sembrava essere rimasto alle spalle. Durante tutti i gig il pubblico sputava contro la band in segno di apprezzamento (il gobbing) e pogava sotto il palco simulando la lotta mancata, quella contro il niente. A quei raduni si poterono propagare anche nuove tendenze, e si verificò un’ennesima svolta nell’abbigliamento e nel modo di vestire. I piercing ostentati, la catene metalliche, le spille da balia, i capelli colorati e gli stivali di pelle borchiata furono solo alcuni dei segni di appartenenza ad un fenomeno che usò la propria bellezza, violenta e teatrale, per dare identità ad una nuova parvenza collettiva.
Perché prima del Punk e dei punk, sembrava non ci fosse posto per nessuno, sembrava che il posto per qualcuno si dovesse creare solo per uscire, anche solo per andare fuori di casa e sfogare quell’attitudine naturale alla ribellione contro l’intero sistema. Dal punto di vista politico, però, almeno ai suoi albori, il Punk si mantenne neutrale, a sé, senza lasciarsi sedurre né dalla destra estrema, che era stata attirata dagli atteggiamenti battaglieri e da alcune svastiche disegnate sui giubbotti; né tanto meno il fenomeno si lasciò irretire dalle sinistre che vedevano nei giovani punk un simbolo di un’intera generazione inquieta perché a spasso, senza lavoro.
Attorno a questa situazione e al suo evolvere nacquero una serie di nuovi sub-canali informativi mai manifestati prima, diventando propri del movimento punk. Due esempi sono le etichette discografiche alternative (dette poi indipendenti) che a loro volta supportarono anche le famose fanzine. Le “fantine”, riviste volutamente neglette nel layout e nella impostazione grafica, riuscirono a spezzare il ciclo produttivo-distributivo tradizionale, sporcando le molte copie stampate con fumetti, informazioni di concerti, interviste e recensioni tutti mischiati a testi anarchici e frasi sconce.
Negli Stati Uniti invece il punk sorse e si riunì attorno a tre città in particolare, New York, San Francisco e per finire a Los Angeles. La prima, sulla East Coast, diede i natali ai Ramones, a Blondie, Iggy Pop e, ancor prima, a quei gruppi pionieristici che anticiparono il punk già dal 1974 (detti per questo proto-punk) come i Talking Heads e i Television. Le loro canzoni erano caratterizzate da un uso poco ricercato della tecnica strumentale e dalle inflessioni rough, ripetitive e slavate rispetto alle ritmiche Rock&Roll, ritmiche alle quali i pezzi si ispiravano senza volerne seguire le orme (per esempio ai The Who). A San Francisco, invece, un anno più tardi aprì il leggendario Mabuhay, il locale che ospitò tutte le band punk di New York e che importò, per più date consecutive, persino i Sex Pistols in trasferta dall’Inghilterra. In California, invece, sotto la presidenza di Reagan, i club alternativi fecero fiorire il cosiddetto hardcore-punk, uno stile musicale dai battiti molto più esagitati, anche se maggiormente consapevolizzato e aggressivo sul fronte sociale (vedere performance live dei Circe Jerks, dei The Weirdos e dei The Dickies).
Situazioni analoghe presero forme simili anche nei centri sociali in Germania prima e nel resto dell’Europa centrale e Meridionale poi (in Spagna si formarono i Las Vulpess, Kaka Deluxe e Kortatu), mentre con l’andare degli anni le posizioni intransigenti e distruttive tipiche del punk77 delle fasi originarie lasciarono poi posto a modulazioni più pacifiste.
Con gli anni 90 le case discografiche alternative per antonomasia come l’inglese Rough Trade o l’americana Alternative Tentacles cominciarono a chiudere battenti, non producendo più quei nuovi, neonati, gruppi di giovani punk che un decennio prima erano stati il motore della ribellione. Il sale di quella terra fatta di urla parlate e chitarre stonate. In questo modo le fanzine scomparsero mentre sulla scena musicale comparvero forme alternative di punk che andarono dagli ultimi melodici Misfits ai NoFx, per passare ai primi Offspring fino ai più alternativi AFI.

Oggi il Punk ha ri-assunto su di sé soltanto la forma esteriore della sub-cultura giovanile degli anni 70, diventando quindi un fenomeno di revival che interessa solo pochi affezionati e che, soprattutto, viene ghettizzato al suono di alcuni locali e di pochi festival in particolare. Facendo un confronto con il punk77 non si deve però peccare di anacronismo. Il fenomeno reattivo delle origini ad oggi non sarebbe più possibile per due macro-motivi socio-culturali. Prima di tutto a causa dell’imperante dominio di grandi multinazionali discografiche, e cioè di tutte quelle Case che monopolizzano il mercato della musica pilotando radio ed appiattendo i gusti musicali. Mentre in seconda sede oggi bisogna fare i conti col divorante e apparente, permissivismo politico, vigile nell’ingabbiare, abbracciandoli, tutti i linguaggi considerati appena più che oltraggiosi.
Così, nel XXI secolo, al Punk non rimane che diventare un’attrazione turistica, un souvenir. Chi avesse voglia di fare elemosina, gettando qualche sterlina come fanno i giapponesi, riuscirebbe a vedere i punk esibirsi in lotte rituali, o in scherzi fatti al cambio della guardia di Buckingham Palace. Non resta dunque che tornare a Londra, con critica, nostalgica curiosità e farsi un giro tra Trafalgar Square e King’s Road.

ginevra bria

[exibart]

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  • Niente da dire, l'articolo ha degli spunti interessantissimi, ma contiene degli errori di valutazione storico-critica francamente imbarazzanti.
    Quello meno evidente, ma non per questo meno importante, riguarda il punk oggi... Punk è prima di tutto un'attitudine, come tutti sanno, e allora che dire, soltanto per fare un esempio, dei Lightning Bolt? Che sono possibili solo oggi, sono intelligentissimi e sono, loro malgrado, punk...

  • è tutto più o meno corretto tranne il finale in quanto il Punk prima di essere una moda appiattita dalle multinazionali,è sempre stato ed è ancora un'attitudine che non a niete a che fare coi"punks" di Trafalgar Square o Kings road e men che mai con i nostrani "punkabbestia". Prego ,correggere, perchè quando si definisce il punk si scrivono sempre..cose inesatte e questa inerente la moda è la più ricorrente scontata e sbagliata.

  • Iggy Pop & The Stooges operavano gia' dal '69, "the stooges" e' considerato il primo album punk (anche se il "movimento" non c'era ancora - era il 1969 appunto -, qui il suono invece c'era tutto). Che Iggy sia universalmente considerato il padrino del punk non lo dico io, ormai e' una delle poche certezze di questo mondo.

    Pertanto dire che "...ancor prima [di Iggy Pop], a quei gruppi pionieristici che anticiparono il punk già dal 1974 detti per questo proto-punk come i Talking Heads e i Television..." non mi sembra filologicamente corretto!

    Ricorda: "Iggy Pop is god"!

  • che i giganteschi Television e Talking Heads (i primi, è chiaro), entrambi americani, siano i padri segreti dell'arcieuropeo Punk è cosa tanto illuminante quanto inoppugnabile
    complimenti

  • appunto, se un disco lo intitoli con l'anno in cui esce vuol dire che era già pronto da tempo

  • a parte che i primi dischi dei television e dei talking heads sono del 1977 e non del 1974 (quello dei talking heads si intitola, appunto, '77)...

  • i Talking Heads, credo, il più grande gruppo insieme ai beatles ed ai pink floyd, forse anche bruce

  • ah sì? e se un disco non è pubblicato, come fa ad influenzare band che stanno dall'altra parte dell'oceano?

  • alla faccia dell'inoppugnabilità...ahahahaha! Ritorno al futuro...

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