Eugenio Tibaldi, Laboratorio Rebibbia, BENU, Foto di Lorenzo Morandi
Si intitola BENU la nuova installazione permanente site specific che Eugenio Tibaldi sta realizzando a Roma, all’interno della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia Germana Stefanini, il più grande istituto penitenziario femminile d’Europa. Il progetto, attualmente in corso attraverso una serie di laboratori partecipativi, è promosso dalla Fondazione Severino e dalla Fondazione Pastificio Cerere, curato da Marcello Smarrelli e sostenuto da Intesa Sanpaolo, con il patrocinio del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede e del Ministero della Giustizia.
BENU nasce come esito di un lungo percorso di ascolto e creazione condivisa, articolato in workshop condotti da Tibaldi con un gruppo di donne detenute. Attraverso il disegno, le partecipanti hanno elaborato simboli, storie personali e aspirazioni, contribuendo in modo attivo alla costruzione dell’opera. L’artista ha tradotto questo materiale in un’immaginazione collettiva e stratificata, destinata a prendere forma nei prossimi mesi all’interno dello spazio carcerario.
Il titolo dell’opera rimanda alla figura mitologica del Benu, creatura sacra della tradizione egizia, simile a un airone dai colori vivaci, associata al culto solare di Ra e assimilata nel tempo all’archetipo della Fenice: simbolo di rinascita, trasformazione e continuità vitale. In questa cornice simbolica, BENU diventa un emblema di rigenerazione, pensato per restituire speranza e dignità a chi vive la condizione detentiva.
«La reazione delle detenute alla proposta del progetto è stata meravigliosa, la larghissima adesione, il loro entusiasmo ed impegno mi hanno coinvolto ancora più a fondo investendomi di una responsabilità e di una profondità a cui non ero preparato», ha commentato Tibaldi, che prosegue: «Durante le giornate trascorse a Rebibbia ho avuto la netta percezione che la divisione fra chi è all’interno e chi non lo è sia davvero labile. La scelta di provare ad immaginare insieme a tutte loro delle nuove fenici ha portato ad elaborati intensi che ora con un ulteriore lavoro in studio sto cercando di sintetizzare per creare delle immagini finali che siano allo stesso tempo personali e comuni a tutti noi».
Il progetto si inserisce tra le iniziative culturali promosse in vista del Giubileo 2025 e rappresenta un raro esempio di committenza pubblica in ambito carcerario. L’opera sarà composta da diversi elementi permanenti che entreranno a far parte del patrimonio dell’istituto, con l’obiettivo di aprire un varco simbolico tra il dentro e il fuori. Secondo il curatore Smarrelli, «Tibaldi ha attivato una modalità di lavoro empatica e profonda, costruendo con le detenute una relazione basata sulla fiducia e sulla condivisione, restituendo loro uno spazio creativo di autorappresentazione attraverso l’immagine del Benu: un autoritratto collettivo che è anche un gesto politico».
Il valore trasformativo del progetto è al centro anche della visione della Fondazione Severino, da anni impegnata in percorsi formativi, culturali e professionali negli istituti di detenzione. «Realizzare un’opera permanente in carcere significa contribuire a rendere il carcere un luogo capace di dialogare con la società. L’arte permette di lavorare sull’autostima e sulla riconquista della propria interiorità, aprendo spazi di possibilità», ha dichiarato Paola Severino. Il progetto prevedrà anche la selezione di altre opere, attraverso l’istituzione di un premio, e nuove azioni di sostegno alla produzione artistica all’interno del carcere.
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